L'ascia e la catena

Stefano Parisi

Ecco il traditore.

 

Un boia lo trascina su per i ruvidi gradini di legno della forca, il palco su cui si consumerà questo spettacolo.

È sconfitto, abbattuto e umiliato, il tiranno che ha pervertito la gloriosa Rivoluzione in un regno di sangue. Picchiato, torturato e condannato a morte, perché tutti sappiano che nessuno può strappare impunemente al Popolo ciò che al Popolo di diritto appartiene. Ed ora, pesto ed emaciato, è trascinato dalla catena del boia su quelle assi grezze e sconnesse, già macchiate dal terrore e dalle lacrime di centinaia di uomini e donne condannati dallo stesso traditore che ora imita i loro ultimi passi con i suoi mentre cammina verso il ceppo che sarà il suo ultimo cuscino.

A morte, grida la folla, a morte il tiranno. Sono fornai e lavandaie, contadini e carpentieri, sarte e cappellaie, barbieri, muratori e mendicanti, che invocano a gran voce il sangue e l’anima del maledetto Giuda che si è seduto sul trono dell’Oppressore. A malapena le guardie, con i pennacchi rossi infiammati e le alabarde di traverso, riescono a tenere la ribollente massa umana a dieci passi dalle travi del patibolo. Qualcuno lancia una pietra e presto inizia una pioggia di ciottoli ed oggetti, ma subito una scure si alza in segno di protesta e la folla, seppure schiumante come cani, cessa il bombardamento: sanno che il momento è vicino.

Il secondo boia abbassa la scure e da sotto il buio del suo cappuccio di cuoio scruta il compagno che giunge finalmente al ceppo e vi getta sopra il prigioniero.  La pesante catena trova l’anello suo compagno infisso sulle assi già annerite da mille morti e trattenuta da braccia abituate a sottomettere gli indomabili costringe il tiranno in ginocchio, con la testa poggiata sul legno ad osservare il suo giustiziere.

Un prete coi paramenti funebri si avvicina ma si arresta impaurito quando le grida della folla si alzano fino a divenire ululati dementi. Le guardie gridano a loro volta e altre ne arrivano a dare manforte ai commilitoni in difficoltà.

Niente confessione, dicono mille bocche, niente perdono divino a chi ha tradito l’Uomo.

Il prete si affretta ad inginocchiarsi accanto al condannato, ne ascolta le ultime parole, gli unge la fronte con l’olio santo e con un segno della croce rimette i suoi peccati a Dio, poi si dilegua.

Il boia impugna il suo strumento di morte con i movimenti fluidi ed esperti di chi è vecchio del mestiere.  Il prigioniero lo fissa inerte, inespressivo.

Ha imparato a leggere negli occhi la verità, prima di spegnere per sempre in loro la luce. Come se Dio lo avesse tolto dai suoi orti e dalle sue greggi con la Rivoluzione perché potesse farsi ultimo giudice di coloro che, innocenti, finivano stritolati dalla furia di un popolo impazzito per la fame e gli stenti, perché ci fosse almeno un uomo sulla terra che potesse ricordare il loro nome nelle preghiere della sera e lavare via con la fiamma del rimorso il peccato del martirio dell’innocente assieme a quello dell’omicidio del colpevole.

La paura torbida e meschina dei colpevoli appanna i loro occhi e rende malvagie le ultime parole, contaminato l’ultimo respiro mentre, morendo con una maledizione tra i denti, precipitano tra le fiamme dell’Inferno.

Gli innocenti gridano o tacciono, ma la luce permane negli occhi anche dei più spaventati e rumorosi e si spegne più lentamente quando la morte cala su di loro. È la luce di Dio, pensa il boia, che si riflette su di loro, che proviene da dentro di loro quando l’arcangelo porta le loro anime in Paradiso.

Il tiranno ha sparso la paura, saccheggiato e ucciso. 

Il tiranno ha versato fiumi di sangue e legato il proprio nome a mille atti innominabili.

Il tiranno è innocente.

 

Il sangue disegna sulle assi nere lo scudo di Costantino e il boia sa che Cristo è morto di nuovo, ucciso da un contadino dell’Anjou per redimere l’Uomo una seconda volta.

Come Caifa, Giuda e Pilato, il boia ha eseguito il suo compito nel piano divino e il suo peccato sugella col sangue la seconda redenzione. Mentre il suo collega solleva la testa e la mostra alla folla impazzita con una risata raschiante che erutta da sotto il cappuccio nero, il piano divino che si srotola ora evidente davanti gli occhi del boia gli toglie la paura: non resta che eseguire la volontà di Dio, fino alla fine.

E mentre muore, con gli occhi che si spengono contemplando il mulino di Austerlitz, sa che il suo sangue disegna in terra lo scudo di Costantino.

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