Nirvana

Ruben Omar Mantella

Tommaso aveva scoperto la Nutella a undici anni.

Sua madre era una vegetariana dedicata anima e corpo al photoshop professionale. Suo padre lavorava per una azienda internazionale incredibilmente specializzata nella produzione, vendita e distribuzione di finocchi. Fiori, steli, olii, essenze di finocchio. Finocchi freschi e surgelati. Finocchi in salsa e paté di finocchi. A casa sua si poteva dire che i cibi venissero scelti in base ad una tavola di colori pastello rigorosamente di origine vegetale. Meno il formaggio, aromatizzato ai semi di finocchio.

Quando alla colonia estiva, all’insaputa dei sanissimi genitori, a Tommaso venne servito un piatto di plastica con pane e Nutella, all’ombra di un castagno, il piccolo, magro, pallido Tommaso ebbe ciò che a posteriori qualsiasi bene informato di sessualità infantile avrebbe descritto come un orgasmo prepubere (sine eiaculatio) di rara intensità. Tommaso se ne stette lì, coccolato dal castagno libertino, leccando la nutella dalla superficie profumata della baguette aperta a metà colle dita.

Tommaso era felice. Tremante. Sudato. Undici anni e le idee chiare circa la felicità e l’amore e la solitudine di un barattolo di Nutella e un cucchiaio pulito.

Al suo tredicesimo compleanno, il suo segreto ormai pubblico, la casa appestata di finocchi e nutella, e il piccolo Tommaso rotondo e paffuto come un roseo maialino, i genitori di lui assistettero impotenti alla zia milanese che regala a Tommaso un videogioco di ultima generazione. Tommaso scoprì che la felicità aveva livelli, sfaccettature, abissi più profondi nei quali crogiolarsi.

Videogiochi e Nutella era una combinazione che aveva del mistico. Tommaso ebbe perfino un breve periodo, tra i quindici e i sedici, in cui studiò con accanimento e incostanza le storie di santi e guru asiatici. Nirvana e Santa Teresa. L’ipnotismo e la sensualità romana. Uomini e donne che mangiano e vomitano per poter mangiare ancora. Perché non avevano i videogiochi.

A Tommaso non preoccupava la scuola, né gli amici né le ragazzine antipatiche che lo prendevano in giro. Sciocchi, pensava. Voi lì, a preoccuparvi di mille cose diverse, dei vestiti e le feste, dei voti, delle partite a calcio, e poi degli esami e dei motorini. Tommaso non capiva come potessero complicarsi tanto la vita e, francamente, non gliene importava. Tommaso era felice, quando correva con una mano su bolidi super-veloci, collezionando monetine e punti, trofei. Traguardi. Con l’atra gli bastava allungare le dita fino al santo graal di vetro, dove i profumi e la densità del nettare abbronzato si conservavano intatti, estrarre il cucchiaio, già pesante, avvolto, caldo, e ficcarselo in bocca con uno spasmo che si fondeva all’adrenalina e al divano morbido e a tutte quelle cose che lì, solo con se stesso, bastavano alla sua perfezione immobile e divina.

Tommaso era Dio. Tommaso non aveva bisogno di altro. Tommaso sapeva. 

A vent’anni si rese conto di aver raggiunto l’Unità. Camera sua era stata limata con cura, oggetti e strumenti di sua creazione per massimizzare il piacere, minimizzare i movimenti, elevare il lusso alla perfezione della semplicità. Videogiochi e Nutella.

Il cucchiaio era un lontano ricordo. A ventun anni si liberò di quelle costrizioni borghesi e inumane. Aveva due mani, dieci dita, e solo una bocca. Se si avvolgeva il controller e il telecomando in pellicola trasparente con sufficiente aderenza non c’era neanche il problema della mancanza di controllo, delle dita unte che scivolano sui comandi. Mani e bocca. Occhi, pelle. Tommaso si spalmava la nutella sulla faccia e sui genitali, sul petto e sulla pancia morbida e rotonda.

A ventitré anni Tommaso era Tutt’Uno. Completo come i veda e i buddha e tutte quelle cose lontane e difficili e complicate non potevano neanche sognare. Avvolto dalla nutella, in piena estate, con le tapparelle chiuse, Tommaso smise di muoversi. Gli bastava il frescore della Nutella, a coprirgli il corpo, a coccolarlo con il suo tocco gentile e inoffensivo. La Nutella come una coperta dolce, dall’aroma di nocciole e burro. Tommaso smise di respirare, sorridendo.

Era diventato perfetto.

Il medico che entrò nella stanza, al ritorno dei genitori dalle ferie, quando lo trovarono immobile, splendente, felice come una statua d’oro brunito, disse che l’olio essenziale del finocchio, in dosi elevate, può avere effetti allucinogeni. Il medico stesso si sorprese che il padre, in vent’anni di lavoro, non l’avesse mai saputo.

Ma Tommaso era oltre. Saperlo non avrebbe diminuito di una goccia il denso, uniforme oceano della sua pace cosmica.

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