Nonostante gli sforzi

Ada Fama

Joy si scostò i capelli dalla fronte. Lo doveva fare di continuo perché non si appiccicassero al suo volto imperlato di sudore. Il sole picchiava forte, danzando con bagliori inafferrabili sulle increspature dell’acqua, disegnando trame dorate in cui Joy intravedeva stradine di campagna, torri svettanti o fiumi tortuosi.

Quella mattina sua madre l’aveva svegliata con un bacio.

«Amore, partiamo per una gita in barca».

Joy era balzata giù dal suo giaciglio: una gita in barca? Adorava le barche! Ne vedeva di continuo, ne sognava di continuo, ne disegnava di continuo. Si era caricata in spalla la borsa che la madre le aveva consegnato e, stringendo la mano del fratellino più piccolo, si era incamminata verso il lago.

Ad attenderli una piccola barca bianca dentro la quale un uomo alto si sbracciava per incitarli a fare in fretta.

«Corri!» le aveva ulrato la madre. E Joy aveva corso, a perdifiato, rischiando di inciampare. Rideva come una pazza e lasciava che la nuvola di capelli ricci le si librasse dietro ribelle.

Aveva aiutato il fratellino a spiccare il salto per entrare in barca ed eccola, rannicchiata in un angolo, con la borsa del cibo stretta tra le braccia, a fissare il lago che le scorreva sotto gli occhi. Il pane caldo di sua madre emanava folate di profumo che le facevano venire l’acquolina in bocca, ma a quanto pareva non era ancora ora di mangiare.

Joy si scostò per l’ennesima volta una ciocca di capelli dagli occhi.

«Ho fame…» si lamentò il fratellino, accoccolato accanto a lei ad abbracciarsi le ginocchia.

Joy non rispose. Guardava il cielo, di un azzurro tanto intenso da fare quasi male agli occhi.

«Ho fame!» ritentò il fratello a voce un po’ più alta.

La madre si girò verso di lui: «Ho detto di aspettare».

Un sussulto.

Un brusco movimento in avanti poi di nuovo un sussulto.

Poi basta. Il silenzio.

Il ronzio che li aveva accompagnati da quando erano partiti era improvvisamente cessato.

«Cos’è successo?» chiese la madre con una punta di isteria nella voce.

«È finita la benzina» dichiarò laconico l’uomo alto che timonava la barca.

Joy calcolò che avevano lasciato il pontile da troppo tempo per poter tornare indietro.

«Quindi? Cosa facciamo?» sbraitò di nuovo la madre.

Joy si guardò intorno.

«Niente».

Tutt’intorno era una distesa d’acqua.

«Come niente?! Diavolo, siamo in mezzo al nulla!».

Acqua.

Nessuna risposta.

«Aiuto!» strepitò la donna a pieni polmoni.

Joy aguzzò lo sguardo per guardare con più attenzione.

«Aiuto!».

Solo acqua.

L’uomo continuava a non rispondere.

«Ehi, mi sentite? Aiuto!» urlò la donna sbracciandosi verso un punto preciso.

Joy vide un’imbarcazione che procedeva verso di loro ad alta velocità.

«Ehi, aiutateci!» urlò a sua volta, mentre un barlume di speranza la faceva riemergere dal torpore di costernazione in cui era caduta.

L’imbarcazione li affiancò ma li ignorò.

Senza dire una parola, l’uomo alto spiccò un salto e atterrò per pochi centimetri dentro l’imbarcazione.

La madre di Joy iniziò ad imprecare, ma era troppo tardi: l’imbarcazione era troppo veloce e guadagnò svariati metri di distanza in pochi istanti.

«Va bene» ordinò la donna legandosi la corda in vita, «io mi metto davanti e voi vi aggrappate dietro e sbattete i piedi più forte che potete».

Joy provò a fendere l’acqua con tutta la forza che aveva in corpo. Aveva il cuore in gola. Era ferita: aveva immaginato una gita diversa, gliela stavano rovinando. E poi, quell’uomo che li aveva abbandonati…

Nonostante gli sforzi di tutti, la barca rimaneva inchiodata al punto in cui il motore aveva deciso di lasciarli a se stessi.

«Aiuto!» ricominciò a gridare sua madre mentre i tre figli risalivano a bordo. «Aiutateci, vi prego, aiutateci!».

Joy non pensava che sua madre potesse riuscire ad urlare tanto, di solito aveva una voce così dolce…

Un’altra imbarcazione a motore si avvicinò. Questa volta però il guidatore si accorse di loro e li affiancò rapidamente.

«Ci aiuti, la prego, siamo rimasti senza benzina!».

L’altro non diede segno di capire. Disse qualcosa in una lingua straniera. Ma pareva gentile, se non altro.

«Benzina – motore – no brum brum!» cercò di spiegarsi la donna, senza celare una nota d’irritazione nella voce.

L’altro parve finalmente comprendere e si sporse per afferrare la corda dalle mani della madre di Joy.

La bambina tirò un sospiro di sollievo e abbracciò i fratellini che frattanto erano scoppiati in lacrime.

La barchetta bianca iniziò a procedere speditamente dietro all’imbarcazione più grande. Allineate, raggiunsero la riva dalla parte opposta del lago in un tempo che a Joy parve brevissimo. Erano salvi!

Attraccarono al pontile.

«Vado a comprare della benzina» annunciò la madre balzando giù dalla barca. «Aspettatemi qui».

Joy attese impaziente il ritorno della donna. Sbocconcellando uno dei panini del picnic, di tanto in tanto alzava lo sguardo al cielo, preoccupata: qualcosa, in quell’azzurro immenso, stava cambiando.

«Torniamo a casa» sentenziò trionfante la donna correndo sul pontile con una bottiglietta di benzina stretta in mano. Riempì il serbatoio e si mise alla guida.

Il motore tossicchiò per qualche istante poi iniziò a rombare: in quel momento il suono più dolce del mondo per Joy.

Una brusca virata a sinistra: la barca puntò pericolosamente ad uno dei pali del pontile.

Joy si sporse istintivamente ed infilò il braccio fra la chiglia ed il palo. Un dolore lancinante l’attanagliò, ma il sorriso di ammirazione che la madre le rivolse glielo fece dimenticare. Era evidente che la donna non sapesse guidare la barca, eppure Joy finse di non capirlo.

A fatica, con movimenti ora lenti ed accorti, si allontanarono dal pontile e cominciarono a guadagnare metri sulla superficie del lago.

Forse ce l’avrebbero fatta a…

Un tuono squarciò il cielo, molto più potente del rombo del motore. I fratellini di Joy ricominciarono a piangere. Erano di nuovo al centro del lago e casa sembrava maledettamente lontana.

Un altro tuono.

La barca procedeva ancora spedita. Enormi gocce di pioggia iniziarono a sferzare i loro volti. Rivoli d’acqua presero a scorrere sul fondo della barchetta, ma erano troppo grossi per un temporale appena iniziato.

«Mamma, hai tolto il tappo…» mormorò esterrefatta Joy, fissando con terrore il buco vuoto tra i piedi della madre.

La donna finse di non sentirla ma iniziò a dimenarsi alla ricerca del tappo che evidentemente aveva scalciato con un movimento involontario del piede.

Una morsa di paura strinse lo stomaco della bambina. Giurò a se stessa che non sarebbe mai più salita su una barca: mai.

Svitò la bottiglietta vuota della benzina e cominciò a riempirla dell’acqua che si stava raccogliendo con una rapidità impressionante sul fondo della barca. Era una corsa contro il tempo, non ce l’avrebbe mai fatta…

La barca iniziò a perdere velocità. La riva era appena visibile all’orizzonte, il temporale implacabile.

Joy non si arrese. Mezzo litro alla volta, affrontò i fiotti d’acqua che si accumulavano copiosi nella barca.

Per l’ennesima volta, alzò lo sguardo davanti a sé, disperata. Lo stava immaginando o quello era il pontile?

«Ce la possiamo fare, mamma!» urlò.

Ma la barca si stava facendo sempre più pesante, non li avrebbe mai portati fin lì.

Sua madre smise di dimenarsi alla ricerca del tappo, afferrò la corda e si tuffò in acqua, tentando di tirare la barca per i pochi metri che la dividevano dal pontile.

«Riuscimmo a saltare fuori dalla barca appena prima che venisse spazzata via da una folata di vento» concluse Joy accarezzando i capelli del bambino che le si era già addormentato fra le braccia.

Non gli raccontò che il lago era in realtà il mare, che la barchetta bianca era un vecchio motoscafo, che l’uomo alto era uno scafista che li aveva abbandonati quando avevano più bisogno di lui, che il pontile era la costa della ‘Terra promessa’, l’Italia. Non gli disse che quel tuffo in acqua era stato fatale per sua madre, né che il nome Joy – che la donna le aveva dato come porta fortuna – in realtà da quel giorno non le aveva davvero portato alcuna fortuna.

Forse l’avrebbe fatto un’altra volta.

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