Messaggio dagli alieni

Mariangela Falcioni

Seduta sulla sabbia, guardo la luna specchiarsi sulla superficie del mare e le migliaia di stelle che da quaggiù sembrano piccolissime luci appese a un soffitto nero e lontano e intanto ascolto la quinta sinfonia di Beethoven. Ogni volta è un brivido, come se qualcosa di terribile e magnifico debba accadere e allora penso a mia nonna, quando l’ascoltò per la prima volta. Nessuno sapeva spiegarsi cosa fosse quel susseguirsi di suoni, fu lei la prima a capire che non c’era nulla da capire, che bisognava soltanto ascoltare e lasciarsi sopraffare dall’emozione. Era stata lei, durante uno dei suoi viaggi di esplorazione nello spazio interstellare, a scoprire un oggetto in volo che non era un corpo celeste. Rientrata alla base, fece parte dell’equipe di scienziati che avevano il compito di studiare quello strano oggetto. Fu un’euforia indescrivibile quando capirono che si trattava di un messaggio di creature appartenenti ad un altro pianeta, lontanissimo dal nostro, in un altro sistema solare, un pianeta chiamato Terra. Era un messaggio di pace, un saluto ripetuto in 55 diversissime lingue, immagini e suoni di un mondo popolato da esseri molteplici e variegati. C’erano numerose informazioni scientifiche su come erano fatti i terrestri, ma anche sul loro sistema solare e sugli altri pianeti disabitati e ruotanti attorno ad unica stella chiamata Sole. Mia nonna l’aveva sempre sostenuto, ma ora finalmente avevamo la certezza di non essere soli nell’universo.

Secondo il calendario terrestre la sonda era partita nel 1977, quasi 300 anni prima del giorno in cui mia nonna la scoprì nel vuoto interstellare diretta verso il sistema solare a loro più vicino che avrebbe raggiunto in 40.000 anni. Per arrivare fino al nostro pianeta, la sonda avrebbe impiegato quasi il doppio del tempo. Da allora mia nonna si immerse in uno studio assiduo della Terra e dei suoi abitanti, furono inviate nello spazio sonde munite di potenti telescopi che riuscirono a individuare quel pianeta. Mia nonna decise di organizzare una spedizione per raggiungerlo. Duecento anni terrestri di viaggio sarebbero occorsi e così fu costruita un’immensa astronave che riproduceva il nostro mondo. Partirono lei e suo marito insieme ad altre tre coppie di astronauti che si sarebbero riprodotti affinché i loro nipoti potessero finalmente raggiungere il pianeta Terra. La nostra vita media è più lunga di quella di un terrestre e la nostra medicina ha sconfitto ogni tipo di malattia così che viviamo senza che il dolore fisico ci avvilisca fino a 150 anni terrestri, quando ci spegniamo come una stella, addormentandoci per l’ultima volta. Io sono nata 120 anni fa su quell’astronave che viaggiava ad altissima velocità dentro un’eterna notte e sono arrivata qui, sulla Terra, ormai da quindici anni e qui morirò senza aver mai visto il pianeta Attai da cui provengo. Durante il lungo viaggio mia nonna mi diceva che il nostro pianeta non era bello e accogliente come quello nel quale saremmo arrivati. Sapeva che non sarebbe vissuta abbastanza per poterlo vedere, ma era convinta che la nostra specie avrebbe potuto imparare tanto da quelle creature che pure erano estremamente primitive rispetto a noi. Erano stati i suoni che i terrestri chiamavano musica ad averla convinta a intraprendere questo lungo viaggio. Al loro ritrovamento gli scienziati avevano elaborato diverse teorie su come decifrare quei messaggi e su quale potesse essere il loro scopo, mia nonna invece non diceva nulla, non ipotizzava nessuna teoria ma ascoltava quelle musiche per ore intere senza riuscire a spiegarsi quello che provava. Un giorno pianse immaginandosi di ascoltare la quinta sinfonia di Beethoven sulla riva di quelle immense distese di acqua che ricoprono gran parte della Terra, in una notte rischiarata dal satellite Luna, riproducendo nella testa il suono delle onde e il verso delle balene che aveva ascoltato nel messaggio degli alieni. Nel nostro pianeta non c’è il mare, l’acqua scorre nelle viscere della terra fuoriuscendo in tremule sorgenti e soprattutto non esiste la notte. Due soli si alternano nei nostri cieli e quando l’uno tramonta, l’altro sorge così che non è possibile contemplare il lento affievolirsi della luce, le ombre che come un manto ricoprono ogni cosa di mistero. Mia nonna diceva che forse era stata la notte a spingere gli esseri umani a creare la musica. Si chiedeva chissà quale malinconia dovesse avvolgere le loro anime mentre la luce del sole li abbandonava gettandoli nelle tenebre. Benché fossero creature estremamente inferiori a noi per intelligenza, benché i loro sistemi tecnologici fossero alquanto primitivi, la loro sonda viaggiava infatti ad una velocità lentissima se paragonata ai nostri sistemi di spostamento nello spazio, avevano saputo creare qualcosa che nel nostro mondo non era esistita mai. Si era convinta che il segreto di quella creazione risiedesse nell’imperfezione di quegli esseri che vivevano invece nella perfezione di un pianeta rigoglioso, florido di paesaggi fantastici, prospero di creature dalle molteplici forme. Allora mi raccontava del nostro pianeta che io non avevo mai veduto, se non nelle numerose immagini che mi mostrava. Troppo distante dai nostri due soli per esserne riscaldato, il nostro pianeta è arido, freddo, eternamente uguale a se stesso in ogni direzione. Un immenso deserto di rocce brulle, povero di vegetazione e di animali, un cielo sempre grigio appena rischiarato da quelle due sfere nel cielo, e in mezzo a quel nulla noi, creature così intelligenti da aver sconfitto il freddo e l’aridità del clima, chiusi in edifici dalle linee geometriche caldi e ricchi di ogni comodità, al sicuro da ogni malattia, liberi dalla paura, dai pregiudizi e dagli incubi che la notte può generare, immersi costantemente nell’utile, protesi alla ricerca di come migliorare l’esistenza pratica senza mai chiederci abbastanza di cosa la nostra anima abbia bisogno, senza mai coltivare quel dono che pure la natura ci aveva dato ma che avevamo lasciato inaridire: la nostra immaginazione. Era stata la musica dei terrestri a risvegliare in mia nonna e poi in tutta la nostra specie quella primitiva facoltà che negli umani ci era sembrata così immensamente possente.

Quando finalmente abbiamo abbandonato la nostra astronave, che fino ad allora era stata il nostro unico mondo, ci trovammo di fronte un pianeta dalla natura lussureggiante. Era abitato da animali di ogni specie, alcuni che già avevamo conosciuto dalle informazioni degli alieni e altri di cui nulla sapevamo. Viaggiammo per mesi e mesi sulle piccole navicelle che avevamo portato con noi per gli spostamenti terrestri e intanto la natura cambiava davanti ai nostri occhi con una ricchezza di forme e colori da lasciarci incantati. Ma non trovammo nessun essere umano e neppure una delle città densamente abitate che avevamo visto nelle immagini dei terrestri. Iniziammo pertanto intensi studi sull’atmosfera e le rocce per capire cosa fosse successo e intanto alcuni di noi si mossero alla ricerca di tracce degli umani. Scoprimmo che già negli anni dell’invio di quel loro messaggio di pace era cominciato un processo anomalo di surriscaldamento globale dell’intero pianeta che l’aveva trasformato in un immenso arido deserto, distruggendo la maggior parte delle forme viventi. Furono i resti delle città ritrovate, coperte da strati e strati di terra o sprofondate negli abissi del mare, a convincerci che erano stati proprio gli esseri umani, con le loro primitive tecnologie, a distruggere l’equilibrio che per secoli aveva governato l’atmosfera terrestre creando le condizioni perfette al proliferare della vita. Probabilmente quando noi intraprendemmo il viaggio, gli umani si erano già estinti e la Terra doveva assomigliare a un inferno squassato da uragani e maremoti. Ma nei due secoli di assenza dell’uomo la vita aveva ricominciato a fiorire e nessuna delle specie terrestri che ora la abitano è così intelligente da mettere stupidamente in crisi questo stupefacente equilibrio.

La mia nipotina mi sta chiamando. Deve essersi svegliata per un brutto sogno e non le piace ritrovarsi sola, nel buio della notte, senza i suoi genitori che sono partiti per una missione esplorativa. Lei è nata qui, è una terrestre? Distolgo gli occhi dal mare e spengo la musica di Beethoven per dirigermi verso la casa che abbiamo costruito qui, su questo meraviglioso pianeta.

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Commenti: 2
  • #1

    Ruben (mercoledì, 27 agosto 2014 22:59)

    Racconto croccante! La fantascienza più bella è sempre quella filosofica (a parer mio) e sei riuscita a mettere insieme una bella immagine, scorrevole senza essere sciatta. Grande!

  • #2

    VERA (venerdì, 31 ottobre 2014 10:36)

    Sembrerò una stupida donnetta ma mi piacciono questo tipo di racconti...mi sono commossa.