Circe
Ruben Omar Mantella
Caro, carissimo Andrea,
Immagino questa sia la prima lettera che tu abbia mai letto, la tua prima e ultima lettera d’amore.
Non crederai alle mie parole, e poco importa, davvero. Fra qualche anno le avrai dimenticate. È difficile spezzare un cuore e non sono brava con i monologhi. Forse leggendo questa mia capirai perché non ti rispondo al telefono e non mi trovi a casa; perché ti ho rubato le foto, perché ti ho svuotato il computer, ti ho derubato della memoria e mi sono cancellata dalla tua vita. Perché me ne sono andata senza dire nulla.
Ti chiederai se tutto questo è necessario, e certamente non lo è. Non c’è alcun motivo esterno, non ci sono obbligazioni né shakespeariani divieti. Potrei restare con te, mio giovane Adone e godere della tua compagnia, della tua sbruffonaggine e del tuo sguardo adorante. Potrei restare con te e sguazzare assieme in sogni infantili e piaceri carnali e scene di felicità da repertorio. Se solo non sapessi...
Se resto con te sarà bello.
Tu con i tuoi capelli neri, i tuoi lineamenti perfetti, quella tua sicurezza spavalda. Sei nato fra i belli e a tuo modo ne sei cosciente. Sí, sei bello, e per quanto io parli come una vecchia, non sei neanche tanto più giovane di me, non di età almeno. Tu mio Adone che sei nato perfetto e che non conosci cinismo, né dubbio, né rassegnazione. Tu, tenero Odisseo, sei capitato tra le grinfie di Circe prima del dovuto.
Non lo nego, se resto con te sarà bello. Non ci negheremo alcun piacere, come non ce lo siamo negati fin ora, come potremmo fare per anni. Faremo l’amore giorno e notte in un orgia di decadenza gioviale, ci sfiniremo dei nostri corpi e rideremo degli sguardi invidiosi. Giocheremo e ci conosceremo, come amanti-amici, come se quell’atto carnale si protendesse dalla notte dei tempi e non ci fosse letto che potesse contenerci. Labbra e baci e piccoli morsetti animaleschi, e io sarò la tua Diana e tu il mio giovane cacciatore. Tu mi farai dimenticare la vicinanza dei trenta e io ti farò sentire fortunato e virile.
Saremo felici. Usciremo, la sera, e balleremo sotto le stelle e dentro discoteche umidiccie, e tornando a casa ripeteremo per la trentesima volta quanto preferiamo stare soli e quanto bene stiamo assieme. Andremo a far festa e rideremo, ti porterò fuori a locali che non conosci e che ancora non sai apprezzare. Ma farai lo sforzo, perché io pagherò quel drink in più e metterò bei vestiti e camminerò con eleganza irresistibile. Torneremo a casa, ridendo alticci e tu ti chiederai, senza dirlo, com’è possibile tanta emozione, tanta perfezione, tanta estasi.
Cominceremo a uscire le domeniche, ridendo un po' meno, ma complici di una vicinanza più profonda. Sentirai che forse, senza crederci ancora del tutto, io posso capirti davvero. Qualsiasi cosa significhi.
Andremo al mare e in montagna, uscendo di giorno per permettere alle notti di occuparsi delle nostre più rare e stanche maratone. Godremo del piacere di un divano comodo e di un film abbracciati, e io godrò del piacere femminile d’esser baciata in fronte mentre appoggio la testa sul tuo petto e tu ti sentirai completo e dirai qualche banalità su quanto poco serva per stare bene.
Completati i normali rituali sarò parte della tua vita, della tua routine, del tuo pianificare il mondo. Continuerai a parlare di me sprezzante, con i tuoi amici, aggiungendo pepe a descrizioni eccessivamente grafiche del mio corpo e delle nostre contorsioni e della mia disponibiltà e fantasia. Ma col migliore amico o nel silenzio che viene dopo la risata dei tuoi coetanei penserai che davvero, “a parte scherzi”, sono “una speciale” e quella sera, o quella dopo, mi darai un nomignolo e ti sentirai un po’ più dolce, un po' più maturo, un po' più appagato.
I mesi srotoleranno stagioni e regali e regalini di feste sciocche e commerciali, ma ti sentirai romantico e io, nonostante tutto, lusingata. Mi porterai a casa e mi presenterai ai genitori. Nulla di formale, no, ma in fondo ci terrai. Andremo in hotel sul mare e godremo della vacanza di coppia e dei commenti esilaranti che i tuoi genitori avranno sussurrato fra i denti, nell’imbarazzo della cena. Ti sentirai in pace con l’universo.
E una sera fatidica, o un giorno qualunque dopo un pasto romantico, il sole si allineerà coi miei capelli e il mio sorriso e le mie piccole rughe d’espressione e la posizione della mia testa rispetto al mare e crederai di vedere un’immagine sublime. Ti chiederò “cosa c’è?” sciabolando la mia dentatura quasi perfetta e il mio trucco leggero. E tu risponderai “Niente” e sorriderai (e come vorrò baciarti in quel momento!), e continuerai a sorridere lasciando cadere un “sei bellissima” o qualche altro concentrato di frasi che hai già sentito ad altri e che nemmeno ricordi. Quella sera o la seguente, sgattaioleremo dalla stanza come elfi birbanti, e faremo l’amore nudi nella piscina vuota e ci abbracceremo esausti sotto le stelle.
Te l’ho detto, sarà bello.
Di ritorno dalla vacanza sentirai, ora senza dubbi, una comunione di anime, un destino compiuto, una donna che ti capisce e che ti ama nonostante i tuoi segreti difetti e le tue debolezze molto più comuni di quel che credi. Il tempo coprirà la carne viva della passione. L’amore giovanile, credimi, è una ferita per la quale ci si dissangua volentieri.
Ma il nostro sangue non basta.
Ci stancheremo, l’uno dell’altra. I buffi difetti di ieri diventeranno ritmiche testardaggini. Ti sentirai mancare quando manco e ti sentirai soffocare quando ti abbraccio. E cosi andrà, un metronomo in contraddizione. Crescerai e scoprirai il mondo e te stesso, ti sentirai diverso e io mi sentirò trentenne. Avrai paura, per poco, e poi sete di conquista. Un giorno ti obbligherai a ricordare perché mi ami e io l’avrò già dimenticato. Il sesso gocciolerà giù per la scala della lascivia e della necessità. Sarà rapido, sudaticcio ed efficiente. Mi vedrai pallida e troverai un abbozzo di cellulite che spunterà sul mio culo disteso nell’alone giallastro di una lampada da comò.
E ciò nonostante ti sorprenderai quando ti dirò che non ti amo più.
Conterai i giorni dall’ultima volta che ti dissi “ti amo” con sguardo, a tuo dire, sincero. “Solo un mese fa!” urlerai. E lo ripeterai come una cantilena incredula, in apotropaica disperazione. Ma il male non se ne andrà ne svanirà il mio sguardo impotente.
E così finirà, come si dice, a metà strada tra il divano e il frigorifero, entrambi indossando una maglietta ridicola e senza frasi d’effetto.
Nel tuo pianto incredulo scoprirai che il dissanguamento è ora un’emorragia che non si sacrifica più ad alcun idolo né la mia persona sarà lì a riempirne la coppa. Ma ti sentirai riversato sul pavimento come se il tuo stesso valore come essere umano ti sgorgasse dal petto in una inutile pozzanghera sul suolo sporco.
E non avrai altro da offrire. Se non lacrime e urla e pianti che a posteriori vedrai patetici. Io li vedrò tali molto prima di te, credimi. E sarà un dolore minore, ma agrodolce, di quelli che ti sporcano la bocca di colpa e sincerità.
E saprò che s’è compiuto quel che si doveva compiere e non avrà avuto alcun senso, ne proposito. Io prima di te, ma verrà il momento in cui entrambi ci chiederemo come abbiamo potuto non vedere, non sapere.
Ma io, mio tesoro, ho mangiato da quell’albero. La tua Circe ti libera.
Grazie al mio piccolo furto soffrirai meno di quel che pensi, di quel che il destino voleva, di quel che si soffre per amore. E con il tempo dimenticherai il mio volto e forse il mio nome e un giorno riderai di questa lettera.
Il nostro amore non avrà avuto alcun senso se non quello di rafforzarti, di renderti impervio al sanguinamento ed esigente con il tuo prossimo carnefice. Nulla più, probabilmente.
Urlerai che mento, che queste sono solo ipotesi. Oracoli pessimisti. Forse, ma la sicurezza è solo degli Dei, e io sono una strega che deve fare quel che può, con quel che ha, con quel che sa. Per colui che ama.
Addio.
C.
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