L’euforia l’avrebbe uccisa. Lo pensò appena vide la faccia di sua figlia, nella penombra, con il ricevitore del telefono in mano e la bocca spalancata. Una certezza con la consistenza emozionale di quel coagulo di materia (grassi signora, è proprio qui, qui, lo vede?) che aveva deciso di installarsi tra le pareti fondamentali di qualche sua tuberia interna. La accettò allo stesso modo. In fondo, si disse, meglio così. L’euforia l’avrebbe uccisa.
Ma sarebbe andata in TV.
Un sogno. Lei, goffa e minuta, col cuore in gola dall’emozione, avanzando a passetti nervosi con le sue scarpine di vernice nera lungo Milano 2, il freddo e il silenzio di un aeroporto. Davanti allo Studio 5 telespettatori in attesa, vagamente curvi sotto il cielo grigio. L’età media era quella di uomini e donne che passano pomeriggi piovosi a stirare per qualcun’altro, con la TV accesa, Licia Colò che parla di piante carnivore.
Quando finalmente entrarono erano stanchi e felici, pronti a condividere qualcosa di misterioso, l'eccitante messa in scena di un segreto, dimenticare l’idea di morte seduti su plastica ergonomica bullonata ai gradoni di un piccolo anfiteatro buio.
Faretti rosa si scatenarono, il palco si illuminò. Il grande schermo si accese.
Qualcosa, da qualche parte, sibilava come delicati frigoriferi.
Il sorriso di Barbara d’Urso divorò lo scenario, avvolta da un tubino rosa fosforescente, le gambe perfette, lucide. Entrò e agitò le mani verso tutti loro come fossero vecchi amici, complici in uno scherzo a sorpresa. Il cuore le batteva forte.
«Buongiorno! Buongiorno a tutti!» Sembrava ripeterlo ogni volta che apriva bocca. Presentò gli ospiti, gli inviati, gli invitati. C’erano sedie di tutti i tipi in una fila ordinata e Barbara che a grandi falcate cercava nuove angolature davanti al grande schermo quadrato che faceva da sfondo allo studio, gli ospiti retroilluminati.
Avrebbe potuto contemplarla per ore. Occupava gli spazi, muoveva gambe e braccia con deliberata precisione, l’eleganza assassina di un grande insetto stiliforme in qualche foresta pluviale. Elargiva sorrisi netti. Si spostava nell’aureola di luce bianco-rosa impersonando il concetto di benevola tirannia.
Applaudirono al limite dell’oscurità.
«Ohhh!» disse.
Barbara D’Urso era raggiante. Si commuoveva e si indignava. Non c’era niente di falso. Osservandola si sentì in colpa per il pubblico a casa, ignaro di quella sua posizione privilegiata, così vicina alla fonte di emozioni dirompenti, partecipe di un gioco dalle conseguenze vagamente morali. Barbara era il totem fiammeggiante del loro senso di impotenza, di terrori notturni sussurrati a centrini da tavola ricamati per noia.
Si lasciò cullare dalla sua voce.
«I cuccioli! I cuccioli!» disse qualcuno.
Il gigantesco schermo era una composizione di immagini senza suono provenienti da altri quattro studi televisivi, ben divisi nel loro riquadro digitale. Colori e soldi. Scenografie piene di uomini e donne dall’aria compromessa. Barbara stava introducendo il prossimo ospite, l’esperto dell’oroscopo dal viso infantile, ma lei non riusciva a distogliere lo sguardo dalle immagini proiettate, mute, febbricitanti. La fama che fa da sfondo alla fama. Sorrise, scivolando in una dolce vertigine.
In uno dei salotti qualcuno aveva gettato del liquido addosso a un invitato e il presentatore rideva.
«Venere è molto capricciosa questa mattina. Ahi ahi ahi!» disse l’Esperto.
In quel salotto incastonato nello schermo, un uomo prese fuoco.
«Proprio capricciosa!» disse Barbara.
Si aggrappò alla signora vicino a se, la scena aveva un che di compatto, un terrore troppo immediato per esprimersi attraverso corde vocali: il presentatore nel piccolo schermo rideva e rideva. Barbara disse «la pelle disidratata può essere una brutta bestia!» L’uomo si consumava con violenza, avvolto in un una colonna di fiamme che sembrava schiacciarlo col proprio peso, una figurina in un vestito nero che e si dimenava per lo studio sbattendo contro le telecamere, i tecnici che si scansavano imbarazzati.
Nessuno, nello studio di Barbara, fece caso allo schermo.
Entrò una signora che faceva borsette con i tappi di bottiglia, un giornalista glabro. Un ragazzino che spiegava come cancellare il profilo Facebook di parenti deceduti.
Barbara faceva «Oh oh!».
In un’altra sezione dello schermo un palo. Legno nero, tre metri di ruvidità in HD, dritto e fuori luogo, conficcato in mezzo ad uno studio pieno di fiori. D’istinto si strinse il seno, graffiandosi attraverso la camicetta, paralizzata, mentre la presentatrice incitava il pubblico a battere le mani. Antonella Clerici dimenava i capelli biondissimi tra le braccia di uomini eleganti.
Qualcuno disse «Certo signora, plastica ed etanolo, la capisco.»
Stavano issando la Clerici sul palo, strattonandola con precisione per riuscire a infilarglielo tra le cosce, tirando, di colpo, afferrati alle sue gambe, assicurandosi che fosse ben fissa. Alta Definizione. Il palo le usciva dalla bocca.
Barbara disse «Le candele aromatiche, fondamentale! fondamentale!»
Le sembrava di essere lì da una vita, il seggiolino di plastica le perforava il bacino. La pressione di eventi fondamentalmente liquidi, dentro di lei, che premevano per uscire. Se il peso morto del suo corpo non l’avesse schiacciata contro la sedia, nello spazio tra lei e gli altri esseri umani in quel buco riscaldato a fuochi elettrici, se non si fosse sentita così compressa e colpevole, avrebbe vomitato sul posto. La vecchietta accanto a lei fece «shhh!». Aveva le unghie laccate di rosa.
Barbara disse «È una persona così umana!»
Paolo Bonolis, in alto a destra, stuprando una donna obesa, sdraiata sul pavimento come una tartaruga rovesciata. La picchiava con un oggetto di gomma.
Un fascio di luce azzurra la colpì senza preavviso, gli spettatori si voltarono verso di lei.
«Abbiamo una signora impaziente!» disse Barbara. Qualcuno le porse un microfono, Barbara d’Urso si mosse verso le gradinate. Bonolis, sudato e rubicondo, aveva finito, e intonava una canzone aggrappato a un microfono con le perline. La donna non si muoveva.
«Qual è il suo segno cara... Amelia giusto?» disse l’Uomo dell’Oroscopo.
Barbara a un paio di metri, dolorosamente tridimensionale. Inclinò la testa di lato come se stesse decidendo se divorarla.
«Ver... vergine»
«Vergine!» approvò l’uomo, tutti contenti applaudendo come bambini. Lui chiuse gli occhi, inspirò profondamente. «Amelia» disse, ma aveva perso qualcosa, nella faccia. Qualche cosa di strutturale si era sciolto entrando in uno stato di tensione autentica, non mediata dalla consapevolezza della telecamera. Sembrava sincero e in cerca di perdono.
«Amelia, nel suo futuro vedo cose orribili. Guardi, chieda a Barbara» Barbara sorrideva con il collo piegato in una posa innaturale.
«A me non piace dire queste cose. Ma sono un professionista, lei capisce». Il calore elettrico dello schermo la fece boccheggiare. «... un professionista».
Un gruppo di ragazzi ballava in cerchio sotto al palo, suonando oggetti cavi, graffiandosi il petto con artigli d’uccello. La Clerici completamente spezzata.
«Signora Amelia, secondo la congiunzione di Marte, vedo chiaramente e definitivamente, nel suo futuro, una morte orribile. Tra esattamente undici settimane. Sua figlia. Qualcosa che ha a che vedere con tute di latex e parabole di sangue sul soffitto. Una morte misteriosa e mediatica. Bruno Vespa le farà un plastico»
Ci fu una pausa. Un silenzio che Amelia non seppe come interpretare. Barbara si sciolse in un’espressione di commozione.
«Mi spiace» disse lui «Sa, sono un professionista»
Benedetta Parodi, primo piano sullo schermo, stava provando un set di coltelli giapponesi sul corpo di un ragazzo completamente nudo e privo di genitali.
Barbara disse «Ohhh!».
Solo in quel momento si sentì davvero stanca. Sola. Con un nodo alla gola e un dolore sordo nelle tempie, guardò il piccolo orologio sul suo polso paffuto. Erano passate dodici ore. Il faro si spense. Il programma continuò.
Non aveva il coraggio di alzarsi e protestare.
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Il Mala (giovedì, 12 giugno 2014 00:30)
Lettura arrancata tra le parole, però dopo una rilettura le immagini sono risultate un po' più chiare. Nel complesso ho trovato la narrazione ingolfata.
annalisa (mercoledì, 25 giugno 2014 01:06)
l'idea è buona, il lessico un po' complesso nella prima fase ma credo sia dovuto alla sindrome da pagina bianca. Più che altro, non c'è un vero motore, un plot forte e deciso di base, il racconto procede per immagini e non per avvenimenti