La nicchia

Jacopo Colombo

Il fuoristrada aveva avuto delle difficoltà ad arrampicarsi per lo sterrato che saliva lungo il bosco.

La sera prima aveva piovuto e le ruote schizzavano ovunque fango e piccoli ciottoli che graffiavano le fiancate. Le ruote di quando in quando faticavano a tenere la presa a causa della notevole pendenza.

Sul cofano, ancora ampiamente lucido, si liberavano a tratti bagliori fra i riflessi neri degli alberi.

A quell’ora ogni cosa cominciava ad assumere un colore opaco e rossiccio.

Eugenio si era immaginato il sito più grande, ma in tutto misurava al massimo come un campo da calcio.

Il proprietario aveva già parcheggiato in una zona dove l’erba era stata tagliata vicino agli edifici che avevano composto il paese e lo stava aspettando. Parcheggiò anche lui nell’unico spazio adatto, proprio nel punto in cui la radura, se così la si poteva chiamare, cedeva il posto ad alti abeti e al sottobosco. Eugenio fermò l’auto, si tolse dal viso gli occhiali da sole e decise di lasciare nell’auto la borsa di pelle con carte, cellulare e portafoglio: quel giorno non avrebbe firmato documenti, avrebbe solo preso visione del posto.

«Eccomi, scusi per l’ora, ma l’altra proprietà era molto lontana», disse Eugenio stringendo la mano del proprietario e tirando più che poteva la bocca in un sorriso. Era esattamente come se lo era aspettato al telefono: un sessantenne triste con la camicia a quadri e il gilet di tessuto sintetico. Sapeva come comportarsi con quel tipo di persona.

«Non c’è problema, allora, che gliene pare del posto? Troppo isolato?» Chiese il proprietario interpretando il silenzio di Eugenio come una critica.

«No, anzi, i miei clienti cercano esattamente posti così».

«Bene – riprese l’altro più rilassato – le faccio fare un giro?»

Pur procedendo a fatica a causa delle ramaglie e dei rovi che avevano inghiottito il paese visionarono tutto il sito in meno di mezz’ora, in parte perché era effettivamente piccolo, in parte perché di lì a breve non sarebbe stato possibile vedere più nulla senza una torcia.

In realtà quei ruderi per Eugenio erano assolutamente uguali a tutti gli altri che aveva visionato per i suoi clienti: deprimenti, sinistri, pesanti del grigiore umido e silenzioso dei boschi di montagna.

«Il paese è stato abbandonato circa sessant’anni fa. Io e mio figlio abbiamo tagliato il più delle ramaglie, ma la maggior parte del lavoro è ancora da fare. Se ci fosse più luce le farei vedere dentro una casa: è ancora tutto come quando la gente se n’è andata».

Guardarono dentro uno dei bassi edifici ed effettivamente non si riusciva a vedere nulla oltre la porticina di legno con ancora la sua sbarra attaccata. Ormai la visita poteva dirsi conclusa.

Uscendo, Eugenio notò qualcosa sul muro della casa di fronte: una rientranza nella quale le ombre serali disegnavano forme bizzarre. Si avvicinò incuriosito e si rese conto che si trattava di un altare.

All’interno, coperta di polvere, carcasse di insetti, foglie morte e ragnatele, stava una statua della Vergine uguale a tante che aveva già visto in altri paeselli montani.

Osservò con più attenzione e tolse con il fazzoletto alcune ragnatele: l’immagine guardava verso il basso con sguardo insonnolito e indifferente e i suoi occhi erano stati dipinti con vernice rossa.

Al seno poi, la Vergine non stringeva il bambinello, ma una figura bianca e marrone, modellata in modo grossolano, con la bocca spalancata nel gesto di bere avidamente alcune gocce di latte che scendevano dal seno sinistro della Madonna. L’aspetto era quasi quello di un rettile, ma in realtà Eugenio pensò che doveva trattarsi di un cane.

«Credo che a questo punto sarebbe più conveniente ricominciare da zero – disse Eugenio – i miei clienti ricostruiranno tutto. In ogni caso buona parte dell’area va eliminata. A cominciare da quella cosa» disse, indicando la nicchia.

La portiera dell’auto del proprietario fece un rumore forte e indolente, i fari proiettarono coni di luce irregolare interrotta dagli alberi attraverso il bosco.

Eugenio si stava per accendere una sigaretta prima di tornare all’auto, quando gli sembrò di percepire un movimento davanti a sé, nel prato, un frusciare d’erba, ma senza un alito di vento.

Fu un attimo, poi tutto sembrò tornare immobile. Stette fermo per un po’ sorpreso e senza sapere bene che fare, quando ebbe di nuovo quella sensazione.

Ormai ne era quasi sicuro: c’era qualcosa fra lui e la macchina.

Fissò avanti a sé cercando di abituare gli occhi all’ombra che lo avvolgeva, in quell’immobilità forzata tutti i rumori giungevano amplificati. Le cicale urlavano impazzite, il suo corpo era inconsciamente concentrato nello sforzo di non muovere nulla.

Allora lo raggiunse l’odore.

Un odore forte, schifoso che gli fece portare la mano sul naso e sulla bocca e lacrimare gli occhi. Un odore di urina, di feci e di cose marce.

Forse c’era qualcosa nell’erba, qualcosa di arcuato, lungo e nascosto. Forse si muoveva verso di lui. E forse, ma non ne era certo, quella cosa non era sola.

Fu un momento: si girò di scatto e con tutta la sua forza corse verso la casa alle sue spalle, dietro di lui all’improvviso l’erba frusciava violentemente, un rumore sempre più vicino, a tonfi, a balzi, poi l’impatto di qualcosa di pesante che si schiantava contro la porta serrata alle sue spalle.

Intorno a lui solo freddo, buio, di nuovo silenzio.

Avrebbe potuto pensare di essersi immaginato tutto. Non fosse stato per l’odore che filtrava da sotto la porta e che, lentamente, impregnava tutta l’aria attorno a lui.

Tentando di alzarsi appoggiò la mano a terra e sentì qualcosa che si spezzava e spappolava sotto il suo peso, cacciò un urlo soffocato senza volerlo e da fuori venne una risposta.

Un lamento si alzò, piagnucoloso, basso, instabile, al quale se ne unirono altri da altre direzioni.

Un lamento o una preghiera.

Poi da dietro Eugenio sentì qualcosa, un rumore piccolo, guardingo, dal piano superiore. Un altro rumore più vicino e infine qualcosa che cadeva proprio dietro di lui.

Fissò a lungo l’oscurità. Ora tutto era di nuovo silenzioso, ma sapeva di non essere solo.

D’improvviso sentì un peso schiantarglisi addosso, tutto divenne confuso in quel buio, l’odore era tremendo e non lo lasciava pensare. Era a terra e qualcosa si divincolava sopra di lui, qualcosa di unghiuto, che ringhiava ed emetteva gridolini rabbiosi.

Batté la testa.

Quando riprese i sensi un po’ di luce filtrava da sotto la porta e dalle finestre sbarrate.

Si sentiva confuso e la spalla gli doleva, quando la guardò si rese conto che la camicia era strappata e che c’era del sangue rappreso. Una ferita, non profonda, ma lunga, la tagliava a metà, fatta da qualcosa di largo e acuminato. La coprì meglio che poté e si alzò in piedi barcollando, era di nuovo solo nella stanza piena di mobili polverosi abitata solo dai ragni.

Eugenio guardò la sua mano: era imbrattata del sangue del coniglio morto ai suoi piedi.

Passarono dieci minuti buoni prima che avesse il coraggio di alzare la sbarra e guardare fuori dalla casa. Doveva essere la tarda mattinata, il sole era alto, era una bella giornata senza nuvole, dall’altra parte del prato la sua auto era lucida. Mentre era incosciente, doveva aver piovuto. Fece qualche cauto passo all’esterno attraversando le case, stando sempre attento a qualunque movimento intorno a lui, però non alzò mai gli occhi sul muro di fronte, dove si trovava la nicchia. Circa a metà strada corse veloce e si chiuse nella macchina. Guardò il cellulare: sei chiamate perse.

Fu allora che sentì di nuovo l’odore e si guardò intorno terrorizzato. Poi realizzò che era lui a puzzare. Era completamente impregnato di quell’orrendo tanfo di urina e cose morte.

 

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Commenti: 5
  • #1

    Il Mala (giovedì, 12 giugno 2014 00:42)

    Sensazioni palpabili, il nulla che era tutto. Mi ha fatto entrare nella pagina(scermo del cellulare).

  • #2

    Fucinanarrante (venerdì, 13 giugno 2014 19:48)

    Questo commento mi fa molto piacere, ci tenevo a giocare sull'atmosfera!! per curiosità, si visualizza bene il sito sul cellulare?

  • #3

    Il Mala (sabato, 14 giugno 2014 18:07)

    Il sito di per se come gl'altri, ma i racconti molto bene

  • #4

    Ciccius (sabato, 14 giugno 2014 18:07)

    Ottimo lavoro Gnap, ho particolarmente apprezzato il passaggio da apparente normalità a manifesta bestialità!

  • #5

    annalisa (mercoledì, 25 giugno 2014 01:23)

    felice di aver ispirato il tuo primo racconto; dunque: atmosfere ottime. Descrizioni e stile, ottimi. Sul plot, manca un po' uno "snodo centrale" ho come avuto la sensazione che qualcosa dovesse ancora succedere o che comunque durante la notte dovesse succedere qualcosa di più, un colpo di scena tipo.