Federico era un bambino buono, ma, ahimè, tremendamente timido: a scuola si impegnava moltissimo, era bravo in italiano e sapeva le tabelline a memoria fino al dieci… ma quando toccava a lui andare alla lavagna, in un attimo – sssh! – diventava rosso! E l’imbarazzo gli impediva di pensare, il gessetto gli sfuggiva dalle dita e lui rimaneva rigido e imbambolato come un attaccapanni, sotto lo sguardo sorpreso della maestra.
Non vi dico gli scherzi dei compagni! Federico era diventato per tutti ‘Federosso’; in classe girava persino un disegno che lo ritraeva con un enorme pallone scarlatto, grosso come una sonda spaziale, al posto della testa, e con la scritta ‘Federosso tutto rosso’.
Federico non sopportava quel soprannome e soprattutto non sopportava quel senso di vergogna che lo accompagnava ovunque e di cui non riusciva a liberarsi. Una mattina, mentre andava a scuola, ripensando all’ennesima figuraccia (il giorno prima, Soraya, una bambina che gli piaceva un po’, gli aveva chiesto di prestarle una gomma e lui si era messo a balbettare e a sudare…), si fermò sul ponticello e disse forte: «Ora basta! Non ne posso più! Perché tutti i giorni devo fare la figura dello stupido! Perché questa Vergogna schifosa non se ne va via dal mondo!»
L’aveva gridato tanto forte che un gruppo di anatre che passava sotto il ponte, era volato via di corsa: «Devo avergli fatto paura!» si stupì Federico.
«Non sei stato tu a farle scappare! – una voce spaventosa si levò da sotto il ponticello – Sono stata io!»
Federico, terrorizzato, fece tre passi indietro: chi aveva parlato?
Dalle assi del ponte cominciò a sollevarsi una polverina: «E così è questo il tuo desiderio? Tu vorresti che la vergogna sparisse per sempre dalla faccia della Terra?»
La polverina si alzò ancora di più e si raccolse in un vortice, che prese la forma di un fantasma, sospeso a mezz’aria di fronte al ragazzo. Federico si guardava intorno per cercare qualcuno, ma non c’era anima viva: era da solo.
«Ebbene: io sono la Vergogna – disse il fantasma di sabbia – ed esaudirò il tuo desiderio. Da questo momento smetterò di infastidire le persone con la mia presenza! Da questo momento niente più imbarazzo, niente più guance rosse e gambe che tremano, niente più lingue bloccate, sudorini e figuracce per nessuno! Me ne vado!» proclamò il fantasma della Vergogna. E, all’improvviso, sparì.
Federico non poteva credere a quello che aveva visto! Scese di corsa dal ponte e corse verso la scuola: si sentiva così leggero! Che incontro incredibile aveva appena avuto! Senza più la vergogna addosso avrebbe potuto fare qualunque cosa!
Lungo la strada, come al solito, si fermò al forno di Aziz, per comprare una focaccia fresca da mangiare a merenda. Davanti a lui c’era il signor Fontini, un anziano vicino di casa che contava le monetine centesimo per centesimo, passandole davanti alle lenti degli occhiali come a un microscopio: «Ecco, quindi, un euro e cinquanta… cinquantacinque, cinquantasei, cinquantasette…»
Federico cominciò a battere un piede per terra: sarebbe arrivato in ritardo a scuola se il signor Fontini continuava a fargli perdere tempo! E all’improvviso, esclamò: «Allora, ha finito di contare, vecchia talpa?»
Il signor Fontini si voltò sorpreso: «Come ti permetti? Ci vedo poco, è vero, ma non è mica colpa mia! Sei proprio senza vergogna!»
Federico era incredulo: come gli era venuto in mente di dire una cosa così sgarbata! Non era da lui! Ma era venuto il suo turno: Federico prese la focaccia, la pagò e scappò a scuola senza salutare.
Entrò in classe giusto in tempo. In classe c’era una baraonda mai vista: tutti urlavano, dal fondo della classe volavano prese in giro di ogni sorta, dai primi banchi si rispose con un bombardamento di palline di carta. Volavano pernacchie e parolacce di quelle da brivido. La maestra entrò sbattendo la porta: «Beh, a chi tocca oggi essere interrogato?» chiese urlando.
Si fece silenzio.
La maestra scorreva i nomi sul registro: «Antonio? No, tu sei troppo stupido, se aspettiamo te facciamo notte! Benedetta? A che serve interrogarti, tanto sei una secchiona insopportabile? Il prossimo è… – la maestra scorreva i nomi degli alunni, svergognandoli uno per uno – Chen? Per carità nemmeno pensarci! Tu non capisci nemmeno l’italiano. Dalia? Per carità! Ah… Federico!»
Federico era senza parole: la scomparsa della vergogna aveva liberato le persone da ogni freno! Per questo la maestra li stava insultando! Per questo i compagni di classe si erano trasformati in una banda di vandali! E per questo poco prima, al forno di Aziz, gli era venuto naturale dare della vecchia talpa al povero signor Fontini.
Federico si alzò e andò verso la lavagna sentendosi responsabile per quel disastro e si mise a risolvere l’operazione sulla lavagna. Ma a un certo punto… driiin zang zang bum driiiin driiin sdeng bum! La maestra si era messa a giocare con il telefonino! Federico strinse il gessetto e si sforzò di continuare l’esercizio. Ma, dopo un paio di moltiplicazioni, la maestra disse forte: «Oh, cara Mariella, come stai? Io bene, sono a scuola... – stava parlando al telefono senza preoccuparsi né di Federico e né del resto della classe – … ma sì: vado a bermi un caffè!» proclamò senza farsi problemi. E uscì dalla porta. Un secondo dopo in classe riesplose la guerra lasciata a metà: «Allora Federosso, che fai ancora lì?»
‘Secchione’, ‘barilotto’, ‘scemo di gomma’, ‘cretino alla seconda’, ‘busta di cacca’: le parolacce volavano come proiettili in guerra e queste – in confronto alle peggiori – erano quasi complimenti! Federico, senza più vergogna, tirò il gesso in faccia al compagno che lo aveva insultato e si unì alla battaglia. Ma la scomparsa della vergogna aveva colpito tutta la scuola: nelle altre classi, sparito ogni freno, bambini urlavano, si azzuffavano, qui si prendevano a parolacce, là piangevano come fontane. E anche i grandi, fuori, per strada e al lavoro, sparita la vergogna, avevano scatenato un putiferio: tutta la città era nel caos!
Improvvisamente, nel mezzo di un assedio di cartacce e sputazzi, Federico vide Soraya, la bambina che il giorno prima gli aveva chiesto la gomma, pronunciare una serie incredibile di parolacce. Ci rimase così tanto male a sentire una bambina così gentile dire certe cose, che il suo avversario lo prese alla sprovvista e gli rovesciò addosso tutto il secchio della spazzatura. Guardando Federico tutto coperto di trucioli di schifezze, rideva come un matto: «Che c’è, Federosso, ti sei rimbecillito?»
Federico si rese conto del disastro che suo malgrado aveva combinato: con la scomparsa della Vergogna, erano spariti anche il Rispetto e la Cortesia, e in aggiunta si erano scatenate nuove terribili forze: la Rabbia e l’Inciviltà. La scomparsa della vergogna era una bomba a orologeria! Bisognava farla tornare subito. Federico decise di ritornare al ponticello, sperando di rincontrare il fantasma della Vergogna.
Non ebbe difficoltà a scappare da scuola: nella confusione generale nessuno si accorgeva di quel bambino che sfrecciava per le strade della città, che intanto dava il peggio di se stessa. Un gruppo di ragazzi scriveva sciocchezze a pennarello sul muro di una casa, nell’angolo – Federico non ci poteva credere – un bel tipo stava… facendo la cacca all’aria aperta, mentre il suo cane, imbarazzato per lui, teneva la paletta e il sacchettino tra i denti (la scomparsa della vergogna aveva risparmiato gli animali). Finalmente Federico raggiunse il ponticello. Con tutto il fiato che aveva nei polmoni si mise a urlare: «Ehi! Vergogna! Torna indietro! Non si sta meglio senza di te, anzi! In tutta la città è scoppiato il finimondo! Torna, ti prego!»
Un’onda di polvere si alzò all’improvviso, sbattendo per terra il povero Federico. Come un tornado invase tutta la città, travolgendo persone e automobili. Il tutto durò pochi secondi, poi tornò la calma.
«Che fai lì per terra, non ti vergogni?»
Federico alzò lo sguardo. Un signore dallo sguardo gentile gli stava porgendo una mano per aiutarlo a sollevarsi. Intorno le persone passeggiavano tranquille, si scambiavano saluti, sorridevano. Sembravano non ricordare nulla. Federico si sentì arrossire e capì che la Vergogna era ritornata. Strinse la mano e si alzò, poi si sporse oltre il parapetto del ponte in cerca del fantasma. Vide solo la sua faccia, riflessa nell’acqua del fiume: «Federosso? – disse piano – Ma sì: in fondo il rosso è un bel colore!»
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Ruben (sabato, 27 dicembre 2014 13:41)
"Cretino alla seconda" e "Busta di cacca" sono stupendi :) Bel racconto Rick!