Optimo dierum

Ruben Omar Mantella

«Quando parli così mi fai proprio incazzare.» disse Lory.

Tardo pomeriggio. Venticinque dicembre. Una strada decorata a festa piena di famiglie passeggianti. L’ atmosfera natalizia nell’aria era densa come un’umidità pluviale. Lory, imbacuccata in vari strati di lana, si fermò in mezzo al marciapiede.

«Suvvia, non te la prendere. Era solo un commento, e comunque non mi hai capito.» disse Jack.

«Spiegati allora!»

«Stavo solo dicendo che il Natale è una festa sciocca. Tutti lì a radunarsi sotto l’albero e a cenare a casa di parenti. Se la metà di quelli che vanno in chiesa sapessero che in realtà, il Natale, è una festa pagana...»

«Vedi? Ti avevo capito benissimo.»

«Immagina: vecchiette con la pelliccia che la sera di Natale sfiorano il coma etilico.»

«Lo so Jack.»

«Saturnalia lo chiamavano.»

«Davvero, lo so Jack.»

«Saturno era il Dio del raccolto, dell’abbondanza, del bello della vita.»

«Lo so. Lo sappiamo tutti. Esiste Wikipedia, Jack. Esiste SuperQuark. Ci sono gli stronzi come te. Il tuo cinismo da ex liceale colto è vecchio, fuori moda. Quelli come te sono stati rimpiazzati dalle ‘10 cose che non sapevi sul Natale’ pubblicate su facebook da quarantenni divorziate. Aggiornati Jack.»

«Ma immagina Lory! Bambini e schiavi che si fanno servire da mangiare dai nobili. Orge, banchetti pubblici. L’ubriacatura collettiva di un intera città dedicata ad un Dio. Far bagordi in nome di Dio! Il Saturnalia sarebbe una festività che potrei rispettare. Ci porterei i nostri figli, i suoceri perfino.»

«Ma non avrebbe senso, non oggi. Il bagordo si fa tutti i giorni ormai. Il Saturnalia è un rituale che sopravvive ogni sabato sera, in forma spuria, ma è il prezzo del tempo.»

«Proprio per quello! Come fai a dire che non avrebbe senso?»

«Una società incorsettata ha bisogno di uno sfogo annuale come il Saturnalia. Rovesciare gli schemi, le regole sociali, considerare sacro ciò che il resto dell’anno è impuro, bla bla bla. Il nostro tempo è tutto fuorché incorsettato, e del resto ce ne fottiamo. Il Natale, quello ‘sciocco’ come dici tu, ci serve.»

«A cosa?»

«A rinchiuderci in casa. Fa freddo Jack, se non l’avessi notato. E non viviamo in un temperata serata romana, né in una ancor più temperata collina nazarena del primo secolo.»

«Cosa c’entra il freddo?»

«Il Natale non c’entra con la bontà, né con i regali, né con la nascita di Gesù. Quello è Dickens. Il Natale è una scusa carina per chiuderci in casa con altri mammiferi, coccolarci tra quattro pareti calde, possibilmente davanti alla fiamma di un camino, con la tavola imbandita di cibi ad alto contenuto calorico. Torrone e cioccolato. Mascarpone e castagne. E’ una festività nord-europea Jack, non c’è nessun mistero. La mitologia non c’entra. E’ una questione di uomini e donne che sentono freddo, che sono stanchi dell’inverno, spossati dal lavoro, che sanno di avere ancora due mesi davanti prima di un accenno di primavera, che vogliono prendersi una pausa, festeggiare una vaga ricorrenza che sì, il sacerdote o lo scienziato di turno associa al solstizio d’inverno o alla nascita di un Dio, ma che fondamentalmente gli dà una scusa per una pausa dal lavoro, riunire figli, nipoti, nonni e nonne infreddoliti, mariti e animali domestici in un salotto ben riscaldato. 

Non c’è scusa che l’animo umano non sappia inventare per strusciarsi con i propri simili.»

«In Argentina fanno il Natale, e là Babbo Natale arriva in piena estate.»

«E’ una colonia Jack. Come tutto il Sudamerica poi. Non penso neanche a star qua a spiegarti i risvolti del colonialismo. Guarda la Cina piuttosto. »

Jack e Lory si guardarono in silenzio. Era da tempo che non avevano una discussione del genere: pacata, intellettuale, intensa. Si sentivano entrambi esausti. Jack si chiese se, magari, nel mezzo della discussione Lory si fosse dimenticata del suo accenno di confessione. Si chiese perché, dopo le sue parole, si sentisse sfidato. Una sensazione odiosa, come se avessero raggiunto un qualche tipo di escalation segreta, un montare di sentimenti e parole incontrollato, che avrebbe portato ad un esplosione repentina ed irrazionale. 

«Allora Jack? Come siamo finiti a parlare male del Natale? Cosa volevi dirmi?». Non si era dimenticata, pensò Jack. 

«Vabbè oh, te lo dico. Non te l’ho preso. Oh! L’ho detto. Non ti ho preso il regalo Lory. Ogni anno la stessa storia, stiamo assieme da sei anni, ti faccio il regalo ogni benedetto Natale, ci spendo una barca di soldi, e poi non ti piace, e ci ritroviamo a metà gennaio a cercare di restituirlo, e io che mi sento una merda e tu che ti senti in colpa. Non so farti regali, contenta? L’ho detto. Forse non ti conosco, o forse sono scemo io, o sono tutte queste stupide feste in qui ‘bisogna’ farsi i regali e che mi mettono l’ansia. Non ti ho preso il regalo, tesoro. Ti invito a cena se vuoi. Ti cucino io, guarda, perfino. Ti accompagno a comprarti qualcosa. Ma oggi, qui, avvolto e pronto, non ho nulla. Vengo a mani vuote. »

Lory accennò un sorriso. Tutto il suo corpo si contrasse leggermente, quasi volesse ripiegarsi su se stesso, nascondendo le mani nelle tasche e il mento dietro la sciarpa. Non faceva così freddo.

«Mi stai dicendo che io mi sono passata due giorni come una deficiente a cercarti la Playstation 4 per tutti i negozi di Genova, e tu sei qui come un pirla a farmi filosofeggiare sul Natale come scusa per dirmi che neanche lo sforzo hai fatto? Neanche lo sforzo!»

Lory girò i tacchi, sprofondando il viso nella sciarpa, allontanandosi per non prenderlo a botte. 

«Lory! Non fare così! Non c’entra lo sforzo, è che...»

«Bel Natale di merda mi hai fatto passare! Grazie! Buon Natale, stronzo!»

Jack rimase lì, in mezzo alla strada. Non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Lory sul Natale. Sentiva che aveva imparato qualcosa. Che lei sapeva cose, che lei era profonda. Rimase lì, qualche minuto, chiedendosi perché quel qualcosa non fosse servito a tenerla lì, con lui. Si chiese a cosa servisse sapere cose se non per mantenere Lory vicino al suo petto caldo, ai suoi piedi freddi sotto le coperte. 

Alzò lo sguardo e Lory non la vide più.

Entrando a casa si chiese se, comunque, la Playstation fosse lì da qualche parte, lasciata come un messaggio d’addio. 

Si ritrovò seduto sul divano, a guardare la TV, sognando ad occhi aperti come sarebbe bello essere triste come lo era ora, con il freddo fuori, sotto la coperta, ad autocommiserarsi distratto da un videogioco ad alta definizione. Il potere consolatorio degli oggetti appena comprati in una fredda notte di Natale.

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