Il dott. Sid Meyerhof si svegliò un lunedì mattina, si alzò e si diresse verso il bagno, sbadigliando senza tregua. Venti minuti dopo ne emerse un uomo pulito, ordinato e sveglio.
Amanda del chiosco del caffè gli porse sorridendo il solito cappuccino da passeggio. Si scambiarono chiacchiere cordiali, un sorriso e Meyerhof si risolse di invitarla a cena. Dodici gocce caddero nel bicchiere termico e nessuno fece una piega mentre Meyerhof sorseggiava la sua caffeina farmaceuticamente corretta.
Il tram corse lungo vie diritte e pulite, sotto alberi rigogliosi e marciapiedi percorsi da stradini in uniforme verde che salvavano con scope di saggina i pedoni dalle insidie delle foglie cadute e degli escrementi di cane. Allegri bottegai alzavano le serrande, salutandosi tra le vetrine dei centri commerciali e barattando caffè, giornali e pane all’uvetta ancora caldo.
Alle otto in punto Meyerhof entrò nell’ospedale, timbrò, salutò tutti e nel giro di mezz’ora aveva gli occhi sulle lenti di un microscopio a impulsi.
La Vecchia Piaga si mosse beffarda nel vetrino sotto di lui, prendendolo in giro con l’entusiasmo con cui si mangiava i linfociti terrorizzati.
«È ancora viva, questa bastarda.» disse Meyerhof al laboratorio vuoto.
«Vero – gli rispose la voce di Van der Belt dalla soglia. Meyerhof alzò lo sguardo. Karl Van der Belt si fece strada fra le beute spingendo in avanguardia il prominente ventre biancovestito, un bicchiere d’acqua semivuoto in una mano, l’altra a infilare un blister nel taschino del camice – tutto quel casino coi sali di rutenio è stata una perdita di tempo e soldi.»
«Lichterbeck vorrà la nostra testa...»
«Oh sì, ci ucciderà. – rispose Van der Belt - Idee?»
«Solo una.»
Sentiamola…
Sospettavo che la Cura interferisse con i nostri esperimenti. Diedi le mie gocce ad alcuni ratti.
Risultati?
Psicosi, reazioni isteriche, aggressività incontrollabile...
«Sid, se ci scoprissero…» Van der Belt sollevò lo sguardo preoccupato dall'ennesimo ratto morto nella sua gabbia. Si era strappato le viscere in un accesso di furia demente.
«Lo so, ma se avessi, se avessimo ragione…» il tono di Meyerhof era deciso. Aprì la gabbia e prelevò il cadavere con le mani guantate mentre Van del Belt preparava gli strumenti per la dissezione.
«Che cosa faremmo, se?» gli chiese dopo diversi minuti, scostando gli occhi dalle lenti del microscopio, le mani strette in grembo a cercare di nascondere il tremore. Meyerhof se ne accorse.
Van der Belt accennò agli oculari in un tacito invito. Meyerhof sentì la paura stringergli il cuore mentre accostava gli occhi.
Che cosa vedeste?
Non prendiamoci in giro, eh? La corteccia era un purè. Non c'era da stupirsi che quella povera bestia fosse impazzita.
Non si scaldi, Meyerhof. Cosa faceste dopo?
Rubammo un cadavere. Indovini il seguito…
Ce lo racconti lei, dottore. Adoriamo le storie…
La Cura ha sugli umani quasi lo stesso effetto che ha sui topi. È una droga. Psichedelica.
Le pillole di Van der Belt e le gocce di Meyerhof finirono nel lavandino.
«Moriremo.» aveva sentenziato Karl, cupo.
«No. Non credo che la Cura abbia alcun effetto in quel senso. – gli rispose Meyerhof, si passò una mano sul viso e trasse un paio di respiri profondi – Ci hanno insegnato che compensa gli effetti collaterali della Soppressione. Hai mai visto, tu, letteratura in merito? Hai mai letto un saggio che spieghi cos’è, come funziona? Un articolo, il nome dei principi attivi? Io no.»
Van der Belt era rimasto in silenzio mentre un’epifania gli versava sorpresa e orrore negli occhi.
«La Cura è una bufala. Un cocktail allucinogeno.» aveva detto lentamente.
Meyerhof aveva semplicemente annuito.
Allora Van der Belt si era avvicinato alla finestra, osservando il paesaggio notturno della città che si estendeva ai piedi della collina su cui era costruito l'ospedale.
«E adesso?» la voce del biologo era rotta dall'angoscia. Meyerhof pensò che stesse per avere un attacco di panico.
«Non lo so.» si trovò a dire, impotente e sincero.
Perché non pubblicaste la vostra scoperta?
Scherza? Eravamo terrorizzati.
Comprensibile. Ma poi gli effetti della Cura iniziarono a svanire…
Già...
Sei giorni dopo, Van der Belt si gettò dal dodicesimo piano. Meyerhof non lo biasimò.
Guardò fuori dal vetro lurido della stanza del proprio albergo (stare a casa era fuori discussione). Uno stradino spazzava un marciapiede spaccato e invaso dal muschio dalle foglie inesistenti di un albero morto. Un tram passò sferragliando, un 37 sbriciolato tatuato sulla fiancata. Da un tombino esalava una fumarola di vapore fetido.
Bussarono alla porta e un cameriere in un gilè liso gli portò il caffè su un vassoio macchiato, in una tazza sbeccata. Il brago nella tazzina rimosse i suoi ultimi dubbi.
Così lei ha telefonato al ministero della salute, si è fatto passare un sottosegretario e gli ha semplicemente detto...
...che avevo smesso di prendere la Cura da una settimana e che ero in perfetta salute. Sì. E poi mi sono trovato qui, dovunque "qui" sia.
Lei è in una stanza al centoquarantaquattresimo piano della sede centrale della B&N-Pharma.
Dove si fabbrica la Cura...
No, dove si crea la Cura, la si studia e la si migliora. Ci sono trentotto formule diverse attive ogni giorno nel globo.
Perché?
«Sembriamo i cattivi di una pessima storia di tirannia e dominio del mondo, non è vero, dottor Meyerhof? – disse divertito l'uomo dall'altra parte del tavolo di metallo - ma le assicuro che tutto quello che vogliamo è il bene dell'umanità.»
«Balle!» scattò Meyerhof, divincolandosi sulla sedia. Le manette non sembrarono impressionate dai suoi sforzi.
«Non sto mentendo, dottore. Diciamo che i vecchi metodi di lotta a quello che possiamo chiamare “Il Male” erano semplicemente inefficaci, controproducenti. Abbiamo dovuto cambiare le carte in tavola.»
«Con droghe e menzogne?!»
«La Soppressione è avvenuta, dottor Meyerhof. La Cura è la Soppressione. Cancella gli istinti nocivi alla pacifica convivenza, ed alla luce di questo ci perdoni una vera, per quanto piccola, bugia: la terapia virale non avrebbe mai funzionato. Abbiamo dovuto trovare un’altra strada.»
«Perché?» chiese Meyerhof, divincolandosi e ferendosi i polsi.
«Perché il Male gioca sporco, dottor Meyerhof. La Cura fa credere alle persone di vivere in un mondo perfetto, annulla gli istinti violenti, l’ansia di possesso, l’avidità... non era felice lei, Meyerhof? – proseguì tranquillamente l'uomo, incrociando le dita sul tavolo – Il lavoro, la casa per la quale ha speso una discreta somma, gli abiti, la cura della persona, Amanda la caffettaia… lei adorava la propria vita, Meyerhof, e le piaceva sapere che nessuno nel globo stava morendo di fame mentre lei gustava una pizza al ristorante. Lo neghi, se può.»
«Cade tutto a pezzi, bastardi! Il mondo sta marcendo e voi siete qui a inventare droghe...»
«Il mondo non va affatto a pezzi, dottore. - lo interruppe l'uomo – Non più. Un tempo vi erano uomini che possedevano tutto ed altri nemmeno la propria vita. Milioni morivano di fame, sete e malattie mentre il resto guardava la televisione. Lei vede una città e la crede in rovina perché ricorda la sua illusione. Ma converrà con me che due città neglette sono meglio di una opulenta accanto ad un’altra che muore di stenti. Tolti gli istinti animali di dominio e controllo e i costrutti umani del successo e dell’avidità, ciascuno si è fatto carico della sua parte di miseria e i problemi sono svaniti da soli. Le guerre, le carestie, le epidemie… la morte, dottor Meyerhof. Ora si può costruire.»
«Costruire cosa?» chiese Meyerhof, scoraggiato. I polsi gli sanguinavano.
«Non crederà seriamente che vogliamo lasciare tutto com’è ora? - l'uomo in giacca e cravatta si lasciò sfuggire una breve risata - Come ho già detto, non siamo il Grande Fratello. Non ci diverte il fatto che i nostri simili vivano vite fittizie mentre le città vere si coprono di erbacce, è stato solamente un necessario. Ora però è giunto il momento di riprendere il cammino verso la civiltà, dottore, e con l'aiuto della Cura, vedrà i balzi che saranno compiuti. L’eterna lotta è finita e ha vinto la Luce, se mi concede un po’ di dramma biblico.»
«E io?»
«Lei è un uomo di carattere, Meyerhof. Conosciamo gli effetti protettivi della Cura sul virus HIV e ne abbiamo abbastanza. La vorremmo a capo del reparto che se ne occupa» gli buttò lì l'uomo, sorridendo. Meyerhof non credeva alle proprie orecchie.
«Cioè sono libero di andare?» azzardò.
«Dio, no! – rise ancora l'uomo - Non può tornare alla sua vecchia vita, Meyerhof, come potrebbe? Non può ricominciare a prendere la Cura, impazzirebbe sapendo che cos'è. La trasferiremo in una residenza della B&N. Purtroppo però, temo dovrà dire addio anche alla caffettaia.»
Sid pensò al sorriso di Amanda e alle sue mani piccole che gli porgevano la tazza fumante.
«Posso almeno avere un po’ di caffè, prima di cominciare?» chiese.
«Naturalmente, dottor Meyerhof.»
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Jappo (domenica, 12 aprile 2015)
Complimenti.
Del capitolo distopico è sicuramente il più bello!