Il complice

Tatjana Motta

12 Gennaio 2012, h 07.16. Annuncio visualizzato 43 volte.


È passata una settimana da quando ho pubblicato l’annuncio per la spada. Controllo, con cadenza regolare, ogni 3 ore, se qualcuno ha risposto e quante persone hanno visualizzato l’inserzione. Il sito, consigliato dal motore di ricerca, mi offriva due opzioni diverse per essere contattato dai possibili interessati: con un messaggio privato, che il sito stesso mi avrebbe inoltrato via mail, o tramite cellulare. Ho scelto il messaggio privato: non mi andava di condividere il mio numero di cellulare con una quantità, potenzialmente inesauribile, di sconosciuti. Non avevo mai provato, prima d’ora, a liberarmi di qualcosa vendendolo su internet. Pensavo si trattasse di un metodo rapido e indolore. L’attesa che qualcuno mi contatti, per avere ciò di cui desidero sbarazzarmi, è invece snervante. È passata una settimana e, nonostante le visualizzazioni, nessuno mi ha contattato. Non faccio che domandarmi per quale ragione visualizzino l’annuncio, se poi non scrivono, nemmeno per avere un’informazione. Qualcosa non è chiaro nel testo? Mi prendono forse per il culo? Chi sono? Com’è la loro faccia? Quali sono i loro interessi?


13 Gennaio 2014, h 04.14. Annuncio visualizzato 49 volte.


Non dormo bene, è vero. È da quando ho trovato la spada, che non faccio sogni tranquilli. Non subito, ho deciso di provare a venderla. Dopo il ritrovamento, l’ho tenuta con me alcuni giorni; non sapevo che farne. L’oggetto, così affascinante in principio, a poco a poco mi appariva sempre più inquietante. Pensandoci, il sonno regolare mi aveva abbandonato già prima del ritrovamento. Quando mi coricavo la sera, non riuscivo a rilassarmi. Qualcosa, non avrei saputo dire cosa fosse, mi faceva sentire irrequieto. Un nodo alla gola, una specie di senso di colpa. Chiudevo gli occhi, ma questa sensazione non mi dava tregua: acuta, intensa, profonda. Mi aggiravo per casa; spiavo, come un ladro, in tutti i miei cassetti, alla ricerca affannosa di qualcosa – ma, dio, non sapevo che cosa – che alleviasse il mio ribollimento. Poi, lentamente, il sospetto che qualcosa non andasse in me, iniziò a insinuarsi fra i miei pensieri, risvegliandomi di colpo, ogni volta che cercavo di perdere i sensi, abbandonandomi al sonno. Maledizione, che cosa avevo? Non capivo le ragioni del mio tormento. Indagando sulle tracce della colpa, all’origine del mio malessere, comprai quel libro sull’insonnia e fiutai qualcosa. Dicevano che lo spazio, la disposizione dei mobili, l’aria, la luce, l’umidità: tutto contribuisce a garantire un buon sonno. Era lei, la mia stanza: scura, stretta, umida. Come potevo riposare, coricandomi in quella specie di bara, con una sola finestra, affacciata contro il muro del palazzo adiacente? Percepivo la camera ogni notte più stretta, mi sembrava di sentire i vermi strisciare attorno alle pareti. «Morto,» pensavo «sono morto e sepolto». Così studiai il rimedio: progettai di aprire un foro, sul muro che divide la camera da letto dal salone, perché da lì entra più luce. «Uno spazio ampio, con più vie di fuga», dicevo. «Non lo so, non è a norma, sei in un palazzo storico», mi diceva l’amico architetto. Decisi di fare i lavori io stesso: un atto liberatorio, magico, per la lotta alle mie notti in bianco. Mi sentivo quasi certo di aver individuato la strada giusta: non un palliativo per combattere provvisoriamente i sintomi, ma una vera cura, che ne risolvesse la causa.

Tracciai a matita, sul muro, il contorno della mia finestra. Guardavo il rettangolo e giocavo a visualizzare con gli occhi il foro, come potessi già vedere attraverso la parete: non ci riuscivo. Non riuscivo ad immaginare la mia finestra sul salone; se mi sforzavo, vedevo un immagine sfocata, come se qualcosa mi ostruisse la vista. Dovevo agire. Spaccando l’intonaco a colpi precisi e sicuri raggiunsi i mattoni. Dovevo vedere attraverso, ero quasi fuori controllo, finché non la trovai. Era lì, così come ce l’aveva messa qualcuno almeno tre secoli fa: la spada murata. Incastrata nel muro di mezzo, tra il lato umido della casa e quello dove batte il sole, occultata, senza poter godere né del giorno né della notte. La toccai: era umida e fredda. Finii di spaccare il muro, per liberarla completamente. La estrassi; il cuore mi impazziva. Dovetti sedermi. Si fece buio e stavo ancora lì, seduto sul bordo del letto, con una spada nella mano, diventata gelida, biancastra, insensibile.

Nessuno ha ancora risposto all’annuncio. Inizio a pensare di dovermi rendere più disponibile. Decido di fare il passo: permetti agli interessati di visualizzare il tuo numero di cellulare. Acconsento e aspetto.


14 Gennaio 2012, h 13.15. Annuncio visualizzato 53 volte.


Pensai anche di portarla a un antiquario. Cosa si dovrebbe fare con un oggetto simile? Dove dovrebbe stare? Forse in un museo, fra gli oggetti preziosi di un collezionista, esposta in un palazzo pubblico, murata da qualche parte. Murata. Non riuscivo a distogliermi da questo pensiero. La spada murata. Per quale ragione era stata messa lì dentro? E chi ce l’aveva messa? Che cosa ci aveva fatto, per doverla nascondere? Chi non doveva assolutamente trovarla? Non ci dormivo: il senso di colpa era tornato a farmi sudare nel letto. Nascondevo l’arma di un delitto? La spada, che mi attraeva e mi inquietava, iniziava a lasciarmi intravedere una sua valenza occulta. Un oggetto venuto dal passato, che irrompe bruscamente nel presente, portandosi dietro l’ombra di una colpa forse mai espiata. Il suo ritrovamento mi faceva sentire importante, speciale, unico. Era destino che io la trovassi. Queste mie divagazioni e fantasticherie sul destino, mi turbavano. Ne ero certo: immaginavo le mani insanguinate che l’avevano segretamente occultata nel muro di quella che era diventata la mia camera; era lei, la causa delle mie notti bianche. La sua influenza mi stava traviando: dovevo liberarmene. Vigliaccamente, la ficcai in un sacco nero e l’abbandonai nel cassonetto sotto casa. Una volta rientrato, ero certo di poter riposare, sbarazzatomi dell’oggetto il cui possesso mi faceva sentire dannatamente colpevole. Ma una volta a letto, non riuscivo a non pensarci. Chi l’avrebbe trovata adesso? Sarebbero risaliti a me? È un comportamento sospetto, gettare una spada, probabilmente intrisa di colpa, in un cassonetto della nettezza urbana? E così, la stessa notte, scesi, vestito di nero, misi il passamontagna, per non farmi riconoscere dai vicini. Rovistai tra i sacchi e ripresi con me l’arma, diventando, a tutti gli effetti, il complice di un probabile efferato delitto.


15 Gennaio 2012, h 17.16. Annuncio visualizzato 55 volte. Un nuovo messaggio.


«Ciao, ho letto il tuo annuncio per spada con elsa a cesto originale XVII secolo, prezzo folle euro 50! Sono interessato. È ancora disponibile? Ti chiamo stasera. Max».


16 Gennaio 2012.


Ho preso accordi per questa sera. Ci incontreremo al parcheggio dell’ Uci Cinema, alle ore ventidue e quindici. Max. Continuo a pensarci senza riuscire ad immaginare il suo viso. Chi può essere? Un appassionato di armi antiche? Un restauratore? Un esoterista? Guido, cercando di darmi una definizione del possibile acquirente standard, per un simile oggetto. Spada con elsa a cesto, originale XVII secolo. La guardo con la coda dell’occhio, sul sedile passeggero, in un sacco nero. Se mi fermassero per un controllo? Cosa potrei raccontare? Ho le mani sudate; per evitare di dare nell’occhio, rispetto i limiti di velocità. Un furgone bianco mi supera suonando. Le mani sudate dannazione, sono in ritardo. Max è lì, come d’accordo, a fianco della sua Punto blu. È calvo, con un lieve strabismo. Strabismo di venere. Uno sguardo strano, ambivalente: penetrante e sfuggente allo stesso tempo. Che cosa starà pensando? Estrae la spada dal sacco. Mi guarda. Sospetta di me? Lo guardo, con l’arma tra le mani. La lama corrosa e arrugginita. La ruggine, sotto la luce del sole, sembra sangue. Mi sento svenire. «Sono cinquanta euro, giusto? Senti ma…» dice: «Con questa dici che ce lo ammazzo un cane?»


17 Gennaio 2012, h 04.30.


Ho finito il lavoro prima dell’alba. Mi guardo allo specchio. Ho la cera di un morto. Devo dormire. Mi lavo le mani, sporche di cemento a presa rapida. Mi sono liberato della spada nell’unico modo possibile. Lì, dove nessuno può trovarla. Murata dietro l’armadio, sotto l’intonaco, da dove è venuta. Ricacciando la colpa laddove mi sarà possibile dimenticarla, posso trovare la pace. Mi stendo sul letto, ancora vestito. Solo un dubbio, prima di dormire: sospetteranno qualcosa i vicini? No, non c’è niente, non ho niente da nascondere.


18 Gennaio 2012, h 21.15. Il suo annuncio è stato cancellato con successo.

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