Gambe di fabbrica

Matvey Schmidt

‘In Brianza, tutti sapevano quando la fabbrica si alzava.

Così leggiadra… e quelle gambe, quelle gambe minute e micidiali, quante stragi. Nipote, quante stragi! Sciocco stakanovista che non ero altro, ci andavo a lavorare, invece che ammirarla dall’esterno…

Da lì, entravo da lì. Ero un testatore.’


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‘SCUSI!’ ---> IDONEA.

‘PREGO.’ ---> AGGIUNGERE UN SORRISO. E SE FOSSE SCRITTO PER LETTERA, UN PUNTO ESCLAMATIVO!

‘TI ACCOMPAGNO ALMENO FINO AL CANCELLO, FA FREDDO!’ ---> VECCHIA, MA IDONEA.

‘E QUINDI, TUO MARITO COME STA?’ ---> STA ALLE RIUNIONI DEGLI ALCOLISTI, SCUSA MA NON LO SAPEVA? NON IDONEA, CHE PARLI DEL FIGLIO.

‘L’HO CERCATA OVUNQUE (LA MERDA CHE MI HAI REGALATO), SEI UN MAGO!’ ---> IDONEA.

‘QUESTE COSE RIESCO A FARLE SOLO CON TE…’ ---> … SÌ, IDONEA.

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Tutte le mattine, ogni paesano contadino, lavoratore operaio bracciante fruttivendolo sapeva che sarebbe passata l’avvenente Lauda Srl, la prima fabbrica dei convenevoli in Italia. Per un lavoro delicato come la ricerca di utenti a corto di chiacchiere di circostanza, fu necessario dotarla di gambe.

Le gambe, le gambe più belle, meglio di qualsiasi tubo zincato, in ghisa o in bitume, erano due scivoli densi di grazia; si allacciava le scarpe ogni mattina alle sette, davanti al suo stagno, e in quel momento salivano gli operai.

E tutte le mattine, alle sette e un quarto in punto, partiva la sua sirena, e a colpi di swing canticchiava la sua camminata per i campi. Dentro, le personcine venivano scosse da una parte all’altra: c’era chi ai primi giorni non resisteva e faceva domanda per l’ufficio, che smorto com’era rimaneva fermo e non faceva jogging come la sua compagna; i più forti rimanevano al lavoro, al lavoro di fabbrica, magico e testardo come il palpito del picchio.

Per evitare confusione, comunque, al suono della sirena i parolieri, i forgiatori e i testatori entravano dalla gamba sinistra, mentre gli ideatori e i discussori dalla destra. Tale scelta fu presa dopo l’incidente in mensa fra un paroliere e un discussore, non riuscendo a mettersi d’accordo su come si potesse rimediare alla gaffe di un pirlotto di Monza che chiese ad una dirigente se fosse incinta:

«Mi dia retta, compagno, queste cose capitano, la donna è intelligente e sono sicuro che una battuta autoironica risolverà il malinteso!» suggerì pacatamente il paroliere,

«Non sono per niente d’accordo: sa benissimo che ella non può avere figli, questo la urta. Lo sa, le donne, si snaturano, se non figliano, lo sa; questo è impossibile da omettere!» il discussore,

«Se non può ometterlo, lo ammetta e basta!»

«Per dare un calcio totale a migliaia di anni di cazzi propri?»

«Lei è un melodrammatico, siamo nel ventesimo secolo!»

«E lei un fascista! Proprio perché siamo nel ventesimo secolo, le posso assicurare che la Santa Inquisizione è bella che sparita! Ripeto: sono affari suoi e l’impiegato DEVE rischiare il posto!»

«Facile sentenziare, discutere, quando non si sa nemmeno che aspetto abbia una donna un po’ gonfia, ché è lei a magnarsi tutto in casa!». Il colpo partì dal discussore, urtato in quanto tondo e inserito nel quadro dell’azienda; inutile ricordare come, allo svenimento del paroliere, i forgiatori vennero in soccorso, approfittando per dare un po’ di mazzate a tutti. Il convenevole prodotto quel giorno, comunque, fu irrimediabilmente disastroso: ‘Scusi, no, è che… la pancia, io non… è che la accumula qui, solo qui, il sedere è a posto, sul serio!’

Quindi una gamba a ciascuno, che la fabbrica era anche più contenta – le stimolava la circolazione e correva meglio.

Al nonno Gherardo, che all’epoca fu promosso a testatore a soli trentaquattro anni per la sua incredibile attenzione, arrivavano al tavolo principalmente le scuse. Scuse e ringraziamenti, ma soprattutto scuse. Le giustificazioni, che erano quelle semplici (il traffico…), toccavano agli operai più vecchi. Il lavoro era semplice: ai piani alti della fabbrica errante stavano gli ideatori, che da grosse torri di vedetta osservavano le città attraversate e inviavano per posta pneumatica i progetti per i convenevoli necessari: se il discorso da produrre non era troppo complesso, potevano farlo i forgiatori, alle fucine; se erano ramanzine, bugie articolate nel tempo o speeches ai gala di beneficienza serviva anche l’ingegno dei parolieri. Quando il prodotto era finito, passava tutto al tavolo dei testatori, che smontavano i convenevoli valutandone intensità della voce, volume ed espressione facciale; infine i discussori, nella fase più rognosa, indagavano sul carattere e la storia degli utenti, affinché non vi fossero discrepanze fra il dire, il fare e l’essere. Per fare un esempio: ‘ah… ahhn… AHHHW!!! Quattro volte, tesoro, sei un drago, un drago della savana!’ Se ciò veniva pronunziato dalla cauta Nina, incapace di mentire e figlia del pastore britannico venuto in vacanza al Lago di Como, in una timida fuga notturna col bracciante prealpino, era probabile che un discussore avesse dormito poco. Poiché i discussori erano soliti a rifarsi sui testatori, fu un bene che nonno Gherardo fosse così diligente.

 

Il nipote del nonno Gherardo, in piedi davanti alla malconcia Lauda Srl, abbandonata sul suo stagno, si chiede perché mai sia stata chiusa.

 

Negli anni Ottanta, un noto circo francese si trasferì temporaneamente nel Nord Italia per una tournée. Un tipo gracile, il vento sul suo tendone agitava una voce flautata e al contempo misteriosa; gli si poteva perdonare di essere un paletto con del PVC intorno. Lauda Srl se ne invaghì, finendo in breve tempo a trottare sulle piane insieme al tendone d’oltralpe. La leggerezza della fabbrica, la magia dell’arte francese: i due edifici finirono per essere una cosa sola, un prodigio dell’architettura e dell’amore. Ciò ebbe un’eco sulla vita degli operai. I trapezisti del circo venivano ad esercitarsi fra le guglie degli ideatori, che non vedevano più un tubo, distratti; le fucine erano invase da foche e incantatori di serpenti e al tavolo di nonno Gherardo, ormai, insieme ai convenevoli arrivavano anche frasi magiche e poesie indiane impossibili da consegnare ai discussori, furibondi. Il consiglio dei dire/fare/essere, infatti, decretò uno sciopero: nessuno di loro si sarebbe più presentato in fabbrica, anzi si barricarono nell’ufficio immobile. Ben presto si licenziarono tutti. Il loro reparto dentro Lauda Srl fu occupato dalla compagnia dei mimi.

 

‘….! …?!..., !!!...........................!’: ogni convenevole uscito dalla fabbrica finiva ad assomigliare a questo.

«Io non capisco, chi c’è di là? Ogni tanto un verso, un suono incomprensibile... o il silenzio! Che scusa o ringraziamento è un silenzio?» chiedeva nonno Gherardo, che tentava di capire le interpretazioni di Dauphine, la mima più giovane della compagnia, ma fu inutile. Sembrava un gesto di sorpresa, quindi adatto ad un incontro di un amico ritrovato dopo anni, ma poi seguiva una smorfia di rabbia incalzata da una carezza al cappello e benché il giovane se la spassasse, gli artisti del gesto scompigliavano tutto ciò che il nastro trasportatore gli faceva arrivare. Il suo tavolo diventò una pista incantata: potevano trascorrere giorni senza che egli sentisse un suono e altri in cui avrebbe potuto sorbire il rumore del mare, il canto di una gru africana, il sonar di un sommergibile, un rito indonesiano… le parole si persero, lasciando spazio al gutturio dell’arte, della musica e dell’inesplicabile.

Dauphine si impegnava, passava ogni giorno a controllare che suono uscisse dalle fucine e in che modo aiutare il giovane Gherardo e puntualmente si dimenticava del nastro, dopo circa un’ora, per finire a chiacchierare di sciocchezze, sempre - sia chiaro - alla sua maniera.

I parolieri si scoprirono presto essere degli splendidi barzellettieri e si trasferirono dentro il circo per imparare le clownerie. I forgiatori si divertirono a costruire gabbie e macchine sceniche di ogni tipo, che poi venivano sperimentate sulle torri dagli acrobati e dagli ideatori.

Il nastro, infine, si fermò.

Lauda Srl e il circo francese, intanto, facevano a gara per i prati, ridendo - pure loro - alla loro maniera.

Si seppe presto che Lauda Srl non produceva più convenevoli, almeno non nella forma a cui erano stati tutti abituati.

 

Nonno Gherardo osserva con malinconia la cara Lauda Srl, avvolta da un tendone, mentre il nipote si infila il maglione cucito dalla nonna. Lo guarda.

La città si agita dietro le loro spalle, nel ceruleo del mezzodì autunnale, piena di canti e di giochi. Si avvicina al nonno e non trova le parole.

Intona il canto di un uccello esotico.

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Commenti: 1
  • #1

    David (domenica, 11 gennaio 2015 12:30)

    Spassoso, fantasioso e ben scritto. E non è un commento uscito dalla Lauda SRL, ci credo davvero. ;D