Božij Dar!

Tatjana Motta

È un bel pezzo che qui non ci vive più nessuno. L’ultimo se ne è andato quasi trent’anni fa. Era uno che pensava di non volersene andare. Alla fine è stata la città stessa a spingerlo via. Per le strade deserte solo un gran vento, polvere, foglie secche, rottami, rimasugli, barattoli. Di notte la città cigolava, gemeva, si sentiva un eco sottile. L’ultimo abitante si diceva che quello era l’eco di chi aveva abitato la città e poi aveva deciso d’andarsene. C’era già muffa dappertutto. Qualcuno se n’era andato lasciando la finestra aperta. Gli uccelli erano entrati a farci i nidi. Poi se n’erano andati anche loro, senza tornare più. Dicono che un giorno, all’ultimo abitante, gli è esploso uno di quei fornellini a gas da campeggio in casa. Una scheggia l’ha colpito in faccia, aprendogli una voragine sulla guancia. L’uomo ha camminato per i quindici chilometri che lo dividevano dal paese abitato più vicino. È arrivato con il viso grondante di sangue a una farmacia. Qualcuno dice che entrando nel negozio ha perso i sensi. Finché ci sono io – pensava l’ultimo abitante della città – c’è la città. Ora l’unico modo per arrivarci è una strada dissestata in lastricato, e nessuno l’imbocca mai.

 

- Accompagnami.

- Non sono sicuro che la strada per arrivarci sia praticabile.

- Palle palle palle. Proviamoci. Andiamo con la mia macchina. Devo fare delle riprese per il corso di cinema. Dai, non mi va di andare da sola.

 

Dopo che anche l’ultimo abitante se n’era andato, sono arrivati i ladri. Per prima cosa hanno portato via tutto quello che si poteva prendere e riutilizzare. Dove l’hanno portato, questo è difficile dirlo. Chi mai potrebbe averlo comprato, non è facile immaginarlo. Poi, quello che non si poteva portare via l’hanno spaccato, demolito, ridotto in polvere. La città ha perso i suoi connotati, come dopo un brutto incidente.

 

- Cos’è? Ferma. È una pista d’atterraggio. Pazzesco! Non si può non farci un giro!

- Sì, ma non mi metto a giocare col freno a mano, se lo stai pensando, toglitelo dalla testa. Ok?

- Hai mai guidato su una pista per gli aerei?

- Mai fino ad ora.

- Questa è piccolina. C’è una rimessa, andiamo a vedere cosa c’è dentro.

- Aspetta. Dopo. Prima voglio fare un giro lungo la strada principale.

 

- Forse non ci si potrebbe venire qui in macchina.

- Qui, non ci viene più nessuno. Tutti ci fanno quel che vogliono.

 

È il cinema, quello messo peggio. Qui dentro hanno infierito più che sul resto. Hanno spaccato proprio tutto. Non è rimasta più nemmeno una poltrona. La platea è disseminata di vetri rotti. Se non lo sai, faticheresti a dire che è un cinema. È diventato grotta, teatro oscuro, ventre di balena. È qui dentro che facevamo tutto.

 

- Queste villette? Di certo per le famiglie dei generali di alto grado. Gli altri li avevano sbattuti di sicuro in quei blocchi di cemento che abbiamo passato prima.

Questa sarà stata la scuola. Giusto a due passi dalle villette dei capoccia.

È strano, no? Diresti che magari c’è qualcuno che ha un ricordo felice di questo posto? Magari qualcuno c’ha passato un infanzia serena. Non ne sapeva niente di niente del mondo, giocava coi vicini di casa, andava a scuola a piedi lungo questa strada… che alberi sono questi? Sono alberi piantati, diversi da quelli del bosco attorno…

- Credo sia un tipo di olmo.

- …c’era pure un cinema, là in fondo, guarda. Non mancava proprio niente. Dai andiamoci; non volevi fare delle riprese? Anja, perché accosti qui?

- Ascolta Patrik. C’è una cosa. Devi farmi un favore.

 

*

Se mi avesse detto tutto prima, certo che mi sarei comportato in maniera diversa. Ma ha detto che non me lo poteva dire prima, perché se no io col cavolo che ci venivo o che la lasciavo venire. E solo adesso capisco tutti quei discorsi sul portare il suo messaggio e che mi chiedeva un atto d’amore. Ma ormai eravamo lì. Siamo entrati e abbiamo cercato il posto migliore per posizionare la telecamera. Anja ha voluto che salissimo alla cabina di proiezione. Anche se la scala sembrava instabile e pericolosa. Abbiamo dovuto farci strada perché lì dentro c’erano cresciuti gli alberi. Abbiamo preso l’inquadratura. Ha detto che andava giù, perché stava per arrivare lui, il socio di suo nonno, e doveva farsi trovare da sola. Il resto è quello che si vede nella ripresa, anche se si vede male perché filtrava poca luce, dal muro spaccato. E si sono detti tutto quello che si sente, anche se si sente male perché l’audio è in presa diretta. Ma io sentivo bene:

 

È proprio così come dici. Non ha più la faccia di un cinema. Non ha proprio più la faccia di niente. Dicevi che i ladri si sono portati via le poltroncine. Ma che storia sarebbe questa? Quali ladri? Qui hanno distrutto tutto perché volevano cancellare questo posto per sempre dal pianeta terra. Con quello che potevano portare via, avranno fatto un falò da qualche parte.

Potevo trovare il cinema a occhi chiusi, come se avessi fatto questa strada cento volte. Mi è tornata in mente così spesso, da darmi la nausea. Sei nervoso. Fai bene. Sono venuta da sola, come mi hai chiesto.  È proprio qui, che tu e mio nonno giravate i vostri schifo di filmini. Certo. In un posto del genere, non si poteva scrivere una storia diversa: abbandonato a sé stesso, chi lo conosce ha cercato di dimenticarselo. Anche io ho cercato di dimenticare. Pensi che ci sia riuscita? Riconosci in me quella di allora? Avevo nove anni e mezzo quando il nonno ci riprendeva. Tu non eri molto diverso da come sei adesso. Eppure non avevi scrupoli a farti fare certe cose da una bambina.

Ti ho portato le videocassette. Ma prima voglio vedere i documenti. Stammi bene a sentire, non ti do un bel niente se prima non ho visto cosa sta scritto su quelle carte. È con la storia della mia famiglia, che stai facendo lo stronzo.

Certo il nonno stravedeva per te. Il suo allievo. Il suo socio fidato. Come lo avresti convinto a lasciarti tutto? Lo hai minacciato per farlo firmare? Immagino che non fosse difficile sventolargli in faccia qualche scheletrino che si era dimenticato nell’armadio. Ecco. Prenditi le tue porcate e lasciaci in pace.

 

E poi ha detto:

 

Aspetta un momento. Sembri soddisfatto. Pensi che la paura che ci soffino via i soldi, sia più forte di una volontà di rivincita per lo schifo che ho vissuto io. Non è questo. Anche noi ci vergogniamo. Ma cosa credevi? Che la mia famiglia avrebbe dato in giro questa roba per che cosa? Diffamarti? Già ti vedevi i titoli in un incubo: brillante avvocato sposato con figli si butta in politica ma rimane invischiato in uno scandalo su... come se non fosse umiliante per noi. Ho il vomito. Mi credi ingenua. Ma ho vent’anni e, come sai, non mi manca l’esperienza. Pensi che mi sia bevuta davvero questa palla dell’atto testamentario segreto, questa storia per cui potresti accaparrarti tu l’eredità che spetta alla mia famiglia? Come se non sapessi come funzionano queste cose. Credi che abbia frugato tra le porcherie di mio nonno, per ritrovare le vostre schifezze, perché voglio i soldi?

 

E allora lei ha tirato fuori la pistola. E a quel punto io non ci ho capito più niente e tutto non era più quello che ero certo che fosse. Se non altro quello non era uno scherzo. Quello non era cinema. Quello nell’obiettivo non era un film e Anja aveva una cazzo di pistola. E non lo so, ma sono rimasto come paralizzato. Sono rimasto lì, come lo spettatore idiota di quella scena violenta del cazzo. Mi fischiavano le orecchie e non so se lei ha detto qualcos’altro, prima che lui cadesse a terra come un sacco di patate. Eh. Un sacco di patate, si dice così quando uno cade a quel modo, adesso ho capito perché. Prima è un corpo e poi tutto a un tratto è solo un peso, che si scarica a terra. E poi lei si è girata e, guardando in camera, ha detto:

 

Dono di Dio. Mi chiamava così il nonno quando mi ha portata qui la prima volta. Vieni a fare una cosa per me. Andiamo a fare un film nella pancia di una balena. Ma non è più la pancia di una balena. È una grotta dove dentro ci crescono gli alberi. Le radici hanno spaccato i muri. I vetri rotti sono diventati sabbia. Bisogna stare attenti ai luoghi dimenticati, perché vanno a farci il nido le cose che non vogliamo alla luce del sole.

E io ci sono tornata, a girare il mio film.

 

Si è messa la pistola in bocca e ha premuto il grilletto, e non era più Anja, e quello non era un film, in quello che non era più un cinema.

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