Il bastone e la carota
Attilio Folegatti
Quando racconto della mia passione per le lingue rispunta la stessa domanda: Ma che ci fai bloccato su questa isoletta?
Mi considerano un viaggiatore mancato solo perché ho sostituito con altri dialetti il mio agrigentino di nascita. Ci sono due tipi di siciliani: di scoglio e di mare. Io rientro nella prima tipologia e se mai lasciassi l’isola sentirei subito il desiderio irrefrenabile di ritornare, per non partire mai più.
Preferisco che siano gli altri a venire da me per parlare una lingua diversa. Ed è quello che accade al CPA di Lampedusa dove lavoro come mediatore linguistico/culturale. Nel Centro di Prima Accoglienza il ricambio umano è garantito e la varietà non manca, gli ospiti si fermano due settimane o poco più, prima di essere destinati in qualche altra struttura della nazione.
Ascoltando le storie mi perdo a fantasticare di luoghi altri, lontani, come se una magia deformante governasse ogni cosa compresa tra dolore e speranza di chi sbarca in Italia. Narrazioni che con un po’ di fortuna hanno il suono delle lingue europee o dell'Arabo, ma io me la cavo bene anche con il Rumeno, l’Urdu e le basi del Cinese, quest’ultimo, in verità, poco praticato sul mio piccolo scoglio. A volte ho bisogno di un traduttore perché la diffidenza dei migranti permane nelle parole più intime, che solo un madrelingua può comprendere. Così l’incontro con Yussuf, arrivato qui da poco più di dieci giorni, è l’imprevisto che forse aspettavo da sempre.
Yussuf che ha circa trent’anni, si va sulla fiducia in mancanza di documenti, parla soltanto italiano e in modo perfetto, con una naturalezza sorprendente.
Se è vero che vieni dalla Nigeria, gli ho chiesto, Dovresti parlare l’inglese o lo Yoruba, oppure uno qualsiasi delle decine di dialetti diffusi in quella regione, davvero non conosci nessuna di queste lingue?
E lui per tutta risposta mi ha recitato una sorta di proverbio.
Dalle mie parti si dice che il tedesco è la lingua del comando, lo spagnolo la lingua della passione, il francese la lingua dell'amore e l'italiano, ascolta bene: l’italiano è la lingua di Dio.
Divertente. Faccio io. Però non hai risposto alla mia domanda.
Io parlo la lingua che mi compete.
E l'africano? Chiedo. Manca l’africano nella tua storiella.
Yussuf mi sorride compassionevole e non dice nulla, del resto l’Africa è un continente, una vera e propria lingua africana non esiste.
Ma perché l’italiano? Dico io. Non posso credere che parli la mia lingua. Soltanto questa, perché?
E Yussuf, con lo stesso sorriso di prima, mi fa:
Perché io sono un angelo!
Eh?
Quel suo racconto, ho pensato, l’italiano è la lingua di Dio, così lo è anche degli angeli. Dipende dal Vaticano, il Papa deve parlare italiano qualunque sia la sua provenienza e così tutti i prelati che abitano a Roma, ma la storia dell’angelo è troppo.
Se sei un vero angelo, come affermi, perché sei qui?
Ho una missione.
Bene. E qual è la tua missione?
La libertà. Risponde lui. E la speranza. Basta mettere qualcosa nello stomaco per vedere un futuro migliore.
Portare i migranti a Lampedusa è il tuo scopo? Ma questo è lo sporco mestiere degli scafisti, cosa c’entrano gli angeli?
Non importa chi compie l’azione giusta. La disperazione deve finire, e si fa qualunque cosa perché ciò avvenga.
Hai raccolto quelle persone in mare? Dove? Magari sei partito da una qualche costa africana segreta. Quale?
Perché ti interessa tanto?
La tua situazione è molto delicata, Yussuf, tu sei a rischio. Qualunque particolare può esserti utile. Lo capisci?
Io li ho aiutati a prendere il mare. Cosa c’è di sbagliato?
Si parla di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, Yussuf. È un reato, te ne rendi conto?
Quelle persone non potevano più vivere in Africa.
Va bene, ma c’è il carcere. Lo capisci o no? Da quattro a dodici anni. Allora?
Yussuf non si preoccupa e io proseguo con l’interrogatorio, nella speranza che ceda rivelando una qualche informazione utile alla sua discolpa.
A chi appartiene la carretta con cui avete navigato? Chiedo.
L’ho trovata.
Trovata?
Era lì, dove Nostro Signore mi aveva indicato.
Certo, scusa, dimenticavo la storia dell’angelo.
Ce l’hai davanti un angelo. Guardami: non mi riconosci?
Senza passaporto? Forse gli angeli non hanno bisogno di documenti, ma noi sì. Tutta quella povera gente che hai sbarcato qui ne ha bisogno. È questo l’aiuto degli angeli? O di Dio?
Tu conosci il disegno di Dio?, Mi fa lui.
Nessuno si aspetta mai di incontrare una creatura celeste, che ha scelto il mare per accompagnare chi ama. Nuotare o volare, per Yussuf, è la stessa cosa.
Ci sono grossi indizi a suo carico, il sospetto che sia uno scafista è altissimo, nonostante l’evidente affetto degli altri migranti e le testimonianze delle persone sbarcate con lui che giurano di non aver pagato nulla per il viaggio in mare. Ma i militari lo hanno trovato al timone e questo rende la sua posizione ambigua.
Forse è un folle visionario, un esaltato, un mitomane ingenuo e sciocco, o magari fin troppo furbo che cerca di evitare il carcere o il rimpatrio. Sappiamo soltanto che vuole ripartire al più presto per raggiungere chi lo attende, altre persone pronte ad affrontare la traversata. Ha sempre detto che la sua permanenza è temporanea, ma questo glielo abbiamo ricordato anche noi.
Infatti, siamo all’ultimo giorno.
Non parlerò più con lui, e mi prende una tristezza infinita.
Domani lascerà l’isola per il continente, ma non sa che la sua destinazione è un luogo più duro, dove sarà costretto a dare risposte verosimili. Vorrei che restasse qui con me, però è così che funziona da queste parti: narrazioni quante ne vuoi, ma l’affetto, quello non devi provarlo mai.
Entro nel CPA di Lampedusa.
Primo cancello:
Buongiorno.
Secondo cancello:
Buongiorno.
Terzo cancello:
Buongiorno.
Eccomi, sono nella corte interna, il cuore della struttura.
Trambusto.
Cosa è successo? Chiedo al primo che incontro, ma niente.
Raggiungo il maresciallo e prima ancora che io apra bocca lui mi dice:
Dottore… l’angelo ha preso il volo.
Nessuno si spiega come possa essere accaduto, ma quando gli operatori sanitari sono entrati nella celletta di Yussuf per fare gli ultimi accertamenti, lui, l’angelo, non c’era più.
Non ha lasciato nessuna traccia, ma ha affidato al cuscino un biglietto destinato a me.
Un pizzino, diciamo noi siciliani, che semplicemente reca scritto:
L’africano è la lingua della fame.
A volte può anche essere un dono.
Devo andare.
Grazie.
Resto immobile senza fiatare, quando all’improvviso un vociare indistinto mi riporta alla realtà. C’è stato un nuovo sbarco, il gruppo di africani spaventati e disorientati viene condotto da me per l’identificazione. In un attimo mi ritrovo coinvolto dai migranti appena arrivati e comincio subito a interagire con loro.
Dottore, si vede che ha studiato: parla benissimo con tutti questi disperati. Mi fa il maresciallo. È perfettamente a suo agio con gli stranieri, eh?
Ma sì, è il mio lavoro...
Rispondo frettolosamente, perché soltanto adesso realizzo che sto affrontando con estrema naturalezza l’incontro con questa gente. Così mi concentro sulle voci e mentre ascolto m’invade un senso di panico. Ma che sta succedendo? Non credo alle mie orecchie, sento una sola lingua, centinaia di persone di paesi diversi che comunicano nello stesso modo. È impossibile! Come in preda alle allucinazioni, comincia la tachicardia. Tutti stanno parlando in italiano. Tutti nella mia lingua. Cerco gli occhi dei miei connazionali per trovare conforto e mi fermo trepidante dentro lo sguardo del maresciallo.
Allora?
Complimenti, dottore!
Cosa? Faccio io.
Capisce immediatamente tutti quanti. Un po’ la invidio.
Ma perché, maresciallo, lei non li capisce?
Ha voglia di scherzare? Parlano in un modo incomprensibile, non so nemmeno come riescano a capirsi tra di loro.
Ma io non sto scherzando. Stanno parlando in italiano.
Eh?
Stanno parlando in italiano, le dico: è italiano.
Il maresciallo mi fissa incredulo.
Guardi c’è un sacco di lavoro e non ho tempo da perdere. Ci è bastata la stranezza di Yussuf, non ho certe nostalgie, io.
Poi sbuffa e si allontana.
Io non lo sapevo, ma ho incontrato un angelo.
Rileggo il pizzino e mi scappa da ridere:
Yussuf mi ha fatto il dono! Esclamo a voce alta, lì sul piazzale davanti a una folla di vittime e soccorritori che per un attimo si blocca come per capire, ma subito ricomincia il caos di corpi e di voci che non può permettersi interruzioni.
Niente sarà più come prima, ora lo so, e mi piace così.
Una ragazza si stacca dal gruppo dei naufraghi e mostra un bimbo che sta piangendo:
Il mio bambino ha fame. Ho bisogno di aiuto, mi capisce?
Certo: comprendo benissimo le sue parole. Mi segua.
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Jappo (martedì, 17 febbraio 2015 02:47)
aaaaaah, come lo vorrei anche io questo dono!