La solitudine dei bambini

di Ruben Omar Mantella

Era in piedi con la porta aperta, la schiena dentro, il viso al sole.

Il deserto sembrava un'entità viva, una presenza che irradia l’aria della propria autorità geologica. L’indifferente malvagità delle cose che vivono su scale di tempo assolute. Secoli. Millenni. Eoni.

«No! Noo!» un urlo, dietro di lui, appena udibile.

Ma a lui piaceva il deserto, anche quello, il grande Gobi lo rassicurava: non ci sono mostri nascosti nel deserto. Tutto illuminato, tutto conoscibile.

«Vi preg...!» Singhiozzi dall’oscurità.

Forse noi americani abbiamo un’ossessione con i deserti, pensò. Le pianure sufficientemente sconfinate per un luogo da chiamare casa, e sufficientemente aride da trovare un'ombra dove brandire l’anima, diventare altro dal terreno, trovare l’individualità nella solitudine di una roccia verticale.

Forse anche gli Alieni avevano paura del buio. Qualcuno l’aveva chiesto? Cosa ci poteva essere di più fondamentale da chiedere, di più intimo?

Fece un respiro profondo ed entrò nella fresca oscurità del lungo hangar militare, chiudendosi la porta alle spalle. Dieci metri più in là una lampadina nuda illuminava quella che sembrava la radiografia di un bambino, tutto ossa e articolazioni esposte, leggermente curvo, le mani legate dietro la schiena, seduto su uno sgabello.

«È da molto che volevo vederti.», disse l'uomo «Ho poco tempo, ora siamo soli.», accecato, l’Alieno sentiva la voce spostarsi oltre la luce, le palpebre che tremavano.

«Un Grigio che sa parlare è un’occasione unica. Io non mi fido degli interrogatori, degli inquisitori ufficiali. Li sentivo, sai? Mentre ti torturavano, dietro quella porta. Sono il guardiano della tua sofferenza.»

«Cosa... volete?» sussurrarono le piccole labbra, un gemito di sottomissione incondizionata. Lui avanzava in linea retta.

«Sono solo un soldato. Un lavoro semplice, con una grammatica precisa. Ma leggo, sai? Divoro le parole con impazienza. Il Times e l’oroscopo. Ho passato mesi in Iraq a studiare l’Enciclopedia Britannica, di notte. Filosofia, biologia, i tarocchi. Leggevo parola per parola le guide TV. C’è sempre qualcosa che non mi quadra.» Si fermò a pochi metri, e lo guardò negli occhi. Tra loro una distanza di linee frontali.

«La guerra l’abbiamo cominciata noi.» sospirò l’uomo. «Conosci le scuse che hanno usato. Ma quello è il come. Sai il perché?»

«Ho già parlato. Mi hanno tagliato tutte le dita!» la flebile voce della creatura tossiva fuori le consonanti come fossero lamette.

«Apparsi in Cina. Pechino invece di New York! Ma te lo immagini il danno che avete fatto alla mia cultura?

«Che euforia però quando vi abbiamo visti! Paura, certo, anche, ma potevi quasi sentire l’aria sfrigolare della felicità curiosa di un’intera specie evoluta da roditori. Non eravamo soli. Quante cose da sapere, quante cose da dire! Da dove cominciare, perché?

«Eppure quant'è durata? Un anno? Peggio di un matrimonio.», sorrise, senza volere. Si piegò sullo stivale e si rialzò. «L’entusiasmo si è esaurito come un orgasmo, soddisfatto da dati, immagini, video. Voi con le vostre teste ovali, la pelle di questo grigio indifferente. Eravate identici a come vi aspettavamo, a come vi sognavamo da anni. Avevamo già una parola pronta per voi, I Grigi. La vostra comunicazione senza linguaggio, Iconotelepatia. Che noia. Eravamo affamati di qualcosa di grandioso e distruttivo.»

Fece un passo dentro la luce e aveva un lungo coltello tra le dita, lucido da far male agli occhi. Lo rigirava tra le unghie.

«Io ho creduto in voi, sai? Nella vostra capacità di portare sulla Terra nuove risposte, emozioni senza nome. Le bellezze dell’universo. Un centro di verità e rivelazioni attorno al quale unirci. Ma voi non avevate risposte né domande. Senza parole non potevate capire la malinconia di un cielo grigio. Eravate immortali e non potevate liberarci dalla morte. Non conoscevate nulla dell’aldilà né vi preoccupava. Non potevate dirci di non aver paura.»

La creatura piangeva, tremando visibilmente. Aspettò che sollevasse la testa e lo guardasse negli occhi.

«Mia madre è morta al quinto anno dal vostro arrivo. Adesso vedo l’ironia, noi idioti ad aspettarci che aveste cure per malattie che non soffrivate. Intere branche del vostro sapere, inutili. Energia infinita, quella sì, qualche arma, tecnologie da elettrodomestici.»

L’uomo scrollò la testa. Voleva prenderlo a pugni così violentemente che non riusciva a muoversi. Voleva che capisse. Senza preavviso gli andò dietro e l’Alieno, sorpreso, cominciò a urlare e a dimenarsi. Lui tagliò i lacci ai polsi, e il corpicino cadde in posizione fetale, gorgogliando un suono terribile, indifeso.

«Meno parlavate e più cresceva la rabbia, la frenesia. Vi studiarono tutte le università del mondo, e più vi vedevamo alla televisione e più sentivamo che non avevate nulla da dirci. Le parole sono importanti. Per quelle parole la gente fa figli, sceglie una particolare marca di bibite gassate, inizia guerre. Si riunisce in Culti alla Morte in mezzo a Central Park.»

L’Alieno non lo vide alzare la mano alla fondina sul fianco, slacciare la linguetta di cuoio. Dondolava la testa e le cicatrici fresche brillavano come farfalle bianche sulla pelle tesa. «Ma come spiegare certe cose ad una razza immortale e senza linguaggio? Speranze nascoste tra le pieghe di termini vaghi.»

L’Alieno cadde in avanti, boccheggiando semisdraiato sul pavimento, i piedi ancora legati allo sgabello.

«Le Risposte, Grigio! Neanche una, davvero?» disse lui, quasi a bassa voce, facendo una pausa. Il Grigio lo guardava dal basso, con occhi enormi, e lui sentì le lacrime bruciare i suoi.

«Uccidimi. Muoio.» mormorò l’Alieno.

Lui urlò, senza trattenersi. «Quando mi dici che soffri, che sai di star morendo, che senso hanno quelle parole? Me lo puoi dimostrare? Che ne so io? Mi vuoi dare le tue ragioni? Ci sono buone ragioni per morire?»

Un rombo di motori, la presenza di veicoli ufficiali in avvicinamento oltre le lamiere.

«’Un uomo dovrebbe innamorarsi prima che gli muoia la madre’. Cosa vuol dire? Perché c’è del vero in questo?

«La famiglia è ‘la cosa più importante’. Bisogna dire ‘per piacere’ quando si chiede qualcosa. L’ironia è un ‘arma contro la morte’. Perché la famiglia? Perché l’ironia? Noi ci viviamo con questa roba! Sono solo processi chimici, neuroni che lampeggiano nel buio!?»

La creatura tremava, si rilassava, tremava ancora. Schiumava dalla bocca.

«Prima della guerra, Grigio...» sentiva la propria voce incrinata, voleva resistere, ma non c’era più tempo. Doveva parlare. «Abbiamo provato a ignorarvi, andare avanti con le nostre vite. Ma siamo stati soli per sessantacinque milioni di anni. Paure e ossessioni di sopravvivenza coltivate da scimmiette della savana. Ora inutili. Ma nostre, familiari. E voi eravate lì, a ricordarci qualcosa... Tanto valeva stare soli, godere delle nostre illusioni, dei nostri sogni ricamati con amore e ingenuità. Il piacere infinito di giocare in una casa vuota. La solitudine dei bambini.»

Estrasse la pistola e sparò alla testa. La deflagrazione, l’eco secco. Si asciugò le lacrime e barcollò fuori.

«Soldato Will!», il tenente Eckhart veniva verso di lui, «Il prigioniero è pronto per il trasferimento? Le forze speciali sono arrivate.» Gli diede una pacca sulla spalla. «Quel bastardo non sa ancora che la guerra è finita. Ma ti rendi conto soldato? Cinquantacinque milioni di morti, ma abbiamo vinto! Sterminati, tutti! Scusa lo sfogo ma oggi è festa e tu mi piaci, sempre qui in piedi, a proteggere l’alieno, giorno e notte. Sei uno di cui ci si può fidare.»

«Sì, signore.»

«Questo è l’ultimo, l’ultimo alieno di merda sul pianeta.» Il tenente sorrise «Capita anche a te soldato? Di dimenticare com’è cominciata, il perché? A me capita. Perché quella faccia soldato?»

Will non rispose, avvolto com’era dal tepore del sole. Le domande nella sua testa finalmente tacevano. Erano lì, come lo erano sempre state. Ma non c’era più nessuno che minacciasse di rispondere.

Eckhart intuì qualcosa e salì la scaletta di metallo, aprì la porta.

«Figlio di puttana. L’ultimo Alieno! Che cazzo hai fatto lì dentro?»

Will aveva gli occhi chiusi.

«Tenente, non capisce?»

Sorrideva.

«Siamo soli. Siamo finalmente soli.»

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Commenti: 3
  • #1

    Vera (sabato, 31 maggio 2014 21:53)

    E bravi ragazzi...non me lo aspettavo questo tema da voi. Complimenti <3

  • #2

    Riccardo Cutroni (sabato, 31 maggio 2014 22:02)

    Con 'La solitudine dei bambini' hai fatto un bel passo in avanti rispetto al primo racconto. Rimangono molte scelte che non mi convincono: un sensazionalismo un po' troppo marcato, delle espressioni e degli accostamenti troppo ad effetto che vogliono sorprendere, ma, insomma, non sempre ci riescono. L'aspetto che mi ha convinto di più è il fatto che si sia sfruttato bene il genere racconto breve. È un racconto di fantascienza minima, fatta di pochi dettagli, uno sguardo preciso su un mondo che non è necessario descrivere in toto. Secondo me questo è l'unico racconto di questa serie che non soffre la brevità ma ne esce più centrato, proprio perché non è necessario ricostruire un contesto storico-politico preciso, come invece in parte è richiesto negli altri. Mi piace anche il tema di fondo, l'idea della solitudine degli esseri umani legata al tema della conoscenza; si sfrutta il genere fantascientifico anche per dire altro, non si rimane troppo dipendenti dall'immaginario che impone il genere.

  • #3

    Il Mala (giovedì, 12 giugno 2014 01:12)

    Ottimo racconto.
    mi piace lo scenario e l'alieno, meno la pomposità del soldato troppo pensante.