14 agosto 1598, tarda sera.
Contea di Armagh, Ulster, Irlanda settentrionale.
... «Harharhar! La faccia che ha fatto...»
... «Mi ha quasi staccato il naso, quel bastardo...»
... «Che si anneghino tutti nel Cluain...»
... «Eoin! Canta qualcosa!»
Nel calore fumoso della taverna, un flauto e un tamburello iniziano a suonare. Presto una voce li segue, sulle note leggere e allegre di una nota canzone.
«Sir Walter Raleigh nell’ottantanove
portò nell’Eire quattro barili,
Sir Walter Raleigh nell’ottantanove
Portò nell’Eire quattro barili.»
Nell’atmosfera spensierata che segue la vittoria, i soldati e i mercenari mezzi ubriachi già ridono: conoscono la canzone e alcuni iniziano anche a cantare le parti che ricordano a memoria, assieme al loro compagno.
«Nel primo barile, per colazione,
quarantasei libbre di aringhe salate;
dentro il secondo, olio spagnolo,
fatto di rape e di pietre strizzate.
Poi dentro al terzo portava tabacco
già arrotolato in lunghi sigàri,
nel quarto infine trecento patate
che fece piantare in lunghi filari.»
Alcuni giocatori di carte in un angolo della sala cominciano a bisticciare e ad accusarsi a vicenda di barare. Il taverniere si affretta, assieme ad uno degli sguatteri, ad avvicinarsi e a raffreddare gli animi con una generosa dose di birra.
«Nel milcinquecentonovantatrè
Sir Walter Raleigh il Mangiapatate,
portò alla Regina sedici piante
con tutte le foglie ancora attaccate.
“Vostra eccellenza, vogliate assaggiare
questa pietanza in India ben nota”
disse inchinandosi davanti al suo trono
ignaro di tutto, il povero idiota.»
In piedi sul tavolo, Eoin mette in scena le parti migliori, con inchini esagerati e imitando le voci dei personaggi. I soldati applaudono e scherzano.
All’improvviso cade il silenzio, mentre la porta viene spalancata con violenza e un gruppo di dodici uomini, uniformi sbiadite sotto la polvere, irrompe nella taverna. Si fermano appena varcata la soglia, scrutando la folla di soldati con sguardo truce.
«Hugh! Bastardo senza madre!» si sente gridare, all’indirizzo dei nuovi arrivati.
«Luineach, non sei riuscito a farti ammazzare?» viene risposto.
La taverna si riempie di nuovo di risa e grida, mentre i mercenari di Richard Tyrell e i soldati di Hugh O’Neill* si riconoscono e siedono e mangiano fianco a fianco. La musica ricomincia.
«Si era scordato il grande signore
di dire ai cuochi della regina
che delle patate non si mangian le foglie,
e quelli ci fecero una minestrina.
Chissà che sapore, ma i nobili astuti
per non offendere l’esploratore
mangiarono tutto, gambi e verdura
ed ecco, era solo questione di ore.»
Un tuono annuncia l’arrivo di una tempesta. Presto i vetri piombati delle piccole finestre si rigano di grosse gocce gelate. Ma all’interno, nessuno presta attenzione alla furia degli elementi.
La battaglia di Yellow Ford** è alle spalle, i clan hanno vinto e le truppe inglesi hanno perso e questo è tutto quello che interessa agli uomini.
«Finito il banchetto, sulla terrazza
Stavano tutti i Lord a fumare,
Quando Leicester pallido in volto
Disse «Signori, mi devo assentare»
E poco rimase del ‘gentiluomo’:
si allontanò il duca inglese
come una loro damina strizzata
che abbia provato la lancia irlandese.
Lo seguì Cornwall, vecchio e barbuto,
che già non riusciva a contenere
i borbottii ed i movimenti
e non sapeva se alzarsi o sedere.»
I soldati sghignazzano mentre i loro compagni più entusiasti si lanciano in una serie di imitazioni dei pari d’Inghilterra alle prese con l’avvelenamento, scatenando l’ilarità generale.
La lista si allunga, diventando sempre più esplicita man mano che vengono nominati dignitari e titolati di rango maggiore. Fuori la tempesta si calma lentamente e la mezzanotte giunge e passa.
«Ed ecco infine la grande Regina:
sul suo trono d’oro e d’argento
piantava le unghie nel vellutino
e le tremava perfino il mento!
“Miei cortigiani, la festa si chiude”
disse con voce già indebolita
“sono un po’ stanca per via della guerra
che come sapete, non è certo finita.”
Sir Walter Raleigh che aveva capito
già quando nel piatto si era trovato
le foglie legnose delle patate
e pure tutto aveva mangiato,
chiese alla Vergine che per favore
i movimenti intestinali
della sovrana dell’Inghilterra
non risultassero a lui fatali.
E mentre sui tacchi la monarca
correva giù per i corridoi
mentre tentava, e sappiatelo, invano,
di non imbrattare i broccati suoi,
Eoin ride assieme ai suoi compagni, interrompendo la canzone per qualche battuta, immaginando la regina d’Inghilterra, tutta addobbata in pompa magna in occasione di un banchetto ufficiale, fuggire dalla sala del trono in modo poco dignitoso. Con tutte le arie che la corte inglese si dava, i clan avevano dimostrato oggi di essere un osso duro da rodere ed Eoin, come tutti gli altri, sapeva che avrebbero vinto la guerra.
fuori fuggiva l’esploratore,
correndo in strada piegato in due,
fin sulla nave che lo riportò
in Irlanda, a casa e alle terre sue.
Allora pensate, fratelli e compagni,
che per piegare la superbia inglese,
non servono armi, minacce o battaglie,
ma solo qualche patata irlandese,
non servono armi, minacce o battaglie,
ma solo qualche patata irlandese!***»
La folla ripete gli ultimi versi più e più volte, finché la canzone viene sommersa prima da grida di sfida al nemico, poi dagli inni di battaglia dei clan, finché tutto scivola di nuovo in un clamore confuso.
Eoin beve e ride con gli altri, si esamina le unghie ancora incrostate di sangue inglese, poi si alza di nuovo ed in piedi sulla sedia, più ubriaco e spavaldo di prima, attacca di nuovo a cantare.
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Il Mala (giovedì, 03 luglio 2014 11:53)
Il racconto è azzeccato, molto bello,per nulla dispersivo mi ha lasciato seduto nella taverna a godermi il racconto canzone.