Il castello di Čachtice

Stefano Parisi

'E così la contessa, che un tempo si era immersa nel sangue di cento vergini per ringiovanire, venne sepolta viva; e il suo castello, nel quale avvennero atti di grande malvagità, cadde rapidamente in rovina...'

 

«Non trova che sia un incipit piuttosto macabro, signore?» disse Butler, una constatazione più che un'opinione.

«Certo che sì, caro Butler; in effetti è proprio per questo che l'ho scelto. Oggidì la gente non si accontenta più delle care, innocenti, morali storie che i nostri padri e nonni usavano raccontarsi e leggere nelle sere d'autunno. Per la Regina!, nemmeno le astute satire della Austen, ormai, sono più sufficienti e smuovere i cuori. La gente di Bretagna legge di più e pensa di meno, purtroppo, e per noi scrittori non vi è altra soluzione che piegarci ai gusti sempre più volubili del grande pubblico. Ah, Butler, come vorrei potermi cimentare nella scrittura di una delle grandi saghe che hanno reso immortali i nostri antenati: ma le decadi che spenderei immerso in una simile opera, ahimè, finirebbero solo per incanutire la mia testa e rovinare i miei occhi, lasciando nel frattempo il portafogli leggero e lo stomaco vuoto. Non ci sono più i mecenati di un tempo, solo il rumore delle nuove rotative e lo sfogliare frenetico di milioni di pagine mal scritte su carta di pessima qualità. E così, caro Butler, la Contessa ha preso forma e vita. Chissà che scrivere copiosamente delle terrificanti gesta della Báthory non ci porti finalmente fama e fortuna.» fu l'eccessiva risposta.

Butler, impassibile, depose accanto al giovane Lord Langley il piattino, la tazza, la teiera e una deliziosa coppetta di porcellana colma di minuscoli biscotti al miele, che l'aspirante romanziere aveva dichiarato essere 'l'unico carburante della mia immaginazione'.

«Il taglialegna è passato questa mattina col carico della settimana, signore. Dice che suo figlio sarebbe lieto di accompagnarvi a visitare il castello della Báthory questo sabato, ammesso che non abbiate timore di addentrarvi in quei luoghi maledetti. Parole sue, signore» si limitò ad aggiungere il maggiordomo.

«Mio caro Butler, quando mai ho lasciato che le superstizioni popolari mi impedissero di esplorare qualche luogo infestato dagli spiriti dei defunti? Fai riferire a quel buon uomo da Grete che sabato prossimo andremo a Čachtice.»

«Naturalmente, signore» rispose Butler, prima di dileguarsi.

 

«Ah, Butler, non è magnifico? Fra poco calcheremo le stesse pietre che la Bàthory consumò nei lunghi anni delle sue nefandezze. Forse, persino ci muoveremo sopra lastre su cui cadde il sangue delle sue vittime. L'uomo che ci ha portato le patate... Petri? Peter?...»

«Pjotr, signore»

«Pjotr, giusto, bravo Butler. Pjotr dicevo, mi ha raccontato storie incredibili sui fantasmi che pare infestino ogni singola stanza del castello, e persino le mura! Chissà che nella luce morente del crepuscolo non ci capiti di vedere lo spettro desolato di qualche ancella, trucidata dalla follia sanguinaria della Contessa... come Amleto e lo spirito irrequieto di suo padre! Oh, Butler, già sento la musa bussare imperiosamente con il suo carico di poesia!» Lord Langley pareva incapace di stare fermo nello spazio confinato della carrozza. Fuori, un paesaggio affatto bucolico scorreva in silenzio attraverso i finestrini.

«Me ne rallegro, vostra grazia.»

«Butler, a volte mi chiedo se tu abbia un cuore che batte sotto quel panciotto impeccabile. Com'è possibile che un essere umano dotato di emozioni non si senta coinvolto...»
Il resto del discorso di Lord Langley svanì, fortunatamente, in virtù dell'improvviso scossone che segnalò l'arrestarsi della carrozza.

«Siamo arrivati, Lord Lengli» confermò il figlio del taglialegna, un uomo di ventitré anni dall'aria stupida ma bonaria. Come fosse possibile che conoscesse, sebbene in minima parte e con un accento terrificante, la lingua inglese, fu un mistero che Lord John Richard Everstone-Langley III non avrebbe mai risolto.

Naturalmente, l'acculturato boscaiolo non volle saperne di avvicinarsi a meno di cento metri dalle rovine pericolanti della fortezza di Čachtice. Si limitò a fornire ai due inglesi indicazioni sommarie sull'interno del castello, informazioni di quinta mano passate di bocca in bocca a partire dai temerari che avevano osato sbirciare, chissà quando nel passato, all'interno dell'arrugginito cancello del rivellino.

Lord Langley era elettrico, o quantomeno così si sarebbe detto se tale parola fosse stata d'uso comune nel dizionario colto di quel tempo. Penetrò nell'antica cinta muraria come se fosse stato il padrone del luogo, disturbando la quiete decennale con un flusso costante di parole. Butler, dal canto suo, osservava ogni minimo dettaglio, traendo in salvo il suo padrone dai cento pericoli nei quali il giovane conte sarebbe incappato da solo: dalle buche nel terreno alle travi pericolanti, ai passaggi malsicuri, alle ringhiere ormai marcite.

Nel luogo regnava la quiete più totale, né vi era alcuna traccia di arredamento d'alcun tipo, certamente smantellato dopo le rivolte ungheresi, oltre un secolo prima della visita di Lord Langley.

Butler, ancora meno propenso del suo padrone a credere alle sciocchezze superstiziose del popolo minuto, si vide costretto ad ammettere con se stesso che su quel luogo regnava un'aria oscura del tutto irrazionale. Che fosse opera di Lucifero o l'influenza persistente del sangue versato dalla contessa folle, le chiacchiere senza fine di Lord Langley cedettero via via il passo a un mormorare sommesso ed infine ad un silenzio incerto, al punto che, esplorando le segrete in cui ancora permanevano sulle pietre delle vaste chiazze brune, i presunti attrezzi di tortura da lungi rimossi e probabilmente bruciati dopo il processo e la condanna della Bàthory, anche il composto maggiordomo sentì la fronte coprirsi di un sottile sudore gelato.

Langley rimase silenzioso anche durante l'ascesa dell'ultima torre, lo sguardo perso e vagamente febbrile. Infine giunsero dinanzi ad una porta murata e il lord esplose in un attacco di eccitazione tale che Butler lo pensò preda di un attacco di isteria. Dietro i mattoni e la calce, erano le stanze in cui la Bàthory era rimasta murata per oltre quattro anni.

 

Infilatisi nell'apertura praticata dai becchini per rimuovere il cadavere, i due inglesi esplorarono alla luce incerta di una torcia sputacchiante gli ambienti in cui la contessa sanguinaria aveva vissuto ed era morta. Nel cerchio tremolante assediato dalle tenebre si rivelarono dettagli innocui a cui il passato dava significati spaventosi: una spazzola abbandonata sulla toeletta, in cui ancora erano impigliati alcuni capelli. Le lenzuola divorate dalle tarme, sfatte e immobili da oltre duecento anni. Le stoviglie antiche che affollavano il tavolo su cui la Bàthory aveva consumato il suo ultimo pasto.

L'orrore e la superstizione avevano tenuto alla larga chiunque, persino i nuovi padroni del castello, persino i conquistatori ungheresi di Ferenc II. Langley era febbrile e toccava tutto, annusava tutto e mandava a memoria ogni singolo dettaglio. Si congelò momentaneamente quando scoprì dentro una credenza un coltello d'argento, annerito e incrostato di una sostanza marrone.

«Butler, guarda! Butler! Questo coltello è sporco... di sangue! Ma la Bàthory fu murata da sola...» lo sguardo di lord Langley si perse nuovamente in lontananza e la voce si fece sommessa «È il suo sangue, Butler... la sua sete di sangue era così irresistibile che finì per versare il suo stesso fluido vitale per soddisfarla... - e qui, teatralmente, Langley alzò lo sguardo sul suo fedele servitore - immagina, Butler, la vera storia della Bàthory... e porterò questo coltello a Londra per provarlo! Lo esporremo al museo! Pensa a quanti soldi ne caveremo!»

«Crede che sia una buona idea, signore? Portare via il coltello, intendo...»

«MALEDIZIONE, BUTLER! NON SONO VENUTO FIN QUI PER ANDARMENE A MANI VUOTE!» gridò Langley, e l'eco rimbombante della sua voce nell'ambiente angusto parve riportarlo immediatamente alla ragione mentre il fido compagno si ritraeva di un passo, in una rara dimostrazione di sentimento «Scusami, Butler. L'emozione mi annebbia le percezioni. Capisci però, che una scoperta di tale portata...» il resto del discorso si perse in un mormorio indistinguibile e il coltello sparì nella manica di Langley.

«Certo signore - rispose Butler, tornando al consueto fare compassato, sebbene sentisse ancora il pungere dello spavento retrocedere nel cuore – credo che questa visita sia stata più... intensa di quanto voi vi aspettaste, e devo ammettere, sebbene con riluttanza, che l'aria tetra di questi luoghi pesa sensibilmente anche sulla mia mente e sul mio spirito.»

«Hai ragione, come sempre, Butler. Andiamocene. Abbiamo trovato quello che cercavamo.»

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Titolo: La contessa Erszébet Bàthory nella letteratura e nella realtà: storia di una leggenda.

Tesi di laurea di: Giovanni Lovisi

Relatore: Chiar.mo prof. Marcello Giunta

A.A: 2014/2015

 

[...] Non mancano, naturalmente, casi di ritrovamenti controversi, come ad esempio il presunto rinvenimento nel 1878 di un coltello macchiato del sangue della stessa Bàthory all'interno delle sue stanze murate, da parte di lord John Richard Everstone-Langley III, secondo figlio di Lord Langley, allora poco più che ventenne. L'idea che le stanze private di una nobile di tale rango, abbandonate con tutti i suoi oggetti personali, fossero rimaste intonse per oltre due secoli è al giorno d'oggi decisamente poco credibile (del resto, lo stesso Langley fa menzione di oggetti preziosi che apparentemente sarebbero stati non solo abbandonati dai precedenti occupanti, come gioielli e pregiati pezzi di argenteria, ma snobbati persino dagli ungheresi che nel 1711 conquistarono il castello e dai ladri e saccheggiatori che nei decenni successivi l'abbandono della struttura portarono via anche i pezzi di mobilia più voluminosi). Le pretese di Lord Langley furono accuratamente annotate in un taccuino, il quale avrebbe dovuto poi diventare il punto di partenza per la stesura di un romanzo di chiaro stampo gotico; sennonché, a minare l'autorità della fonte, vi è il fatto che Langley morì cinque giorni dopo la visita al castello di Čachtice, apparentemente essendosi tagliato le vene nella vasca da bagno nientemeno che con il suddetto coltello, dando adito a speculazioni, non del tutto prive di pregio, sulla salute mentale del giovane nobile. A fare da contrappunto all'inaffidabilità degli scritti di Langley, vi è il corposo volume di memorie di Hubert James Butler, che al tempo serviva quale maggiordomo e servitore personale presso il giovane conte, il quale supporta in ogni aspetto la versione dei fatti data dal suo padrone. La questione è certamente destinata a rimanere insoluta, essendo andato perduto l'oggetto della contesa nel corso del trasporto da Čachtice a Londra.

Altrettando controverse sono le dichiarazioni, oltre quindici anni più tarde, di un altro volenteroso esploratore delle rovine dell'ultima dimora dei Bàthory, stavolta proveniente dall'areale germanico, tale marchese.... [...]

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