Martin Park

Attilio Folegatti

Il mio compito è rendere migliori le vacanze di chi può permettersele, fornendo un semplice diversivo tanto ingenuo quanto efficace, specialmente per genitori e nonni che farebbero di tutto pur di compiacere bambini nevrotici e incontentabili proprio quando la convivenza diventa un obbligo. L'estate, asili e scuole chiuse per un periodo interminabile in cui l'onnipotenza dei più piccoli conferma l'inadeguatezza degli adulti a questo mondo. Così qualcuno cerca distrazioni e qualcun altro, come me, le garantisce. Vendo divertimento ai bambini e cinque minuti di libertà a chi li accompagna, come si porta un cane a fare il giro dell'evacuazione tutti quelli che si mettono in fila alla mia biglietteria tengono per mano la propria creatura sperando soltanto che dopo si possa finalmente tornare a casa in pace. È frustrante lavorare mentre gli altri si divertono, ma finita la stagione riprenderò a studiare e vivrò un inverno tranquillo, pensavo, basta non farsi coinvolgere che tanto figli e nipoti sono mica i miei. Però ora basta. Se restassi qui ancora una notte potrei impazzire. Mi sento sempre più un estraneo. Uno degli ultimi frequentatori normali del Martin Park.

Oggi il sole non si è fatto vedere, l'acciaio dell'acqua all'orizzonte si confonde con l'oscurità del cielo, al rischio di pioggia le giostre stanno ferme. Un po' di respiro, anche se ancora per poco. Gli ingranaggi cominceranno a muoversi dopo il tramonto e allora come ogni notte qui sarà un brulicare di bimbi e anziani, in eterno divertimento per loro che di tempo ne hanno quanto ne vogliono.

Devo fare qualcosa. Non posso continuare così. Il padrone non mi lascerà andar via, senza contratto il mio lavoro gli appartiene. Devo fare qualcosa. Intanto il Brucomela è fermo.

Hai controllato la macchina?

Sì, è tutto a posto.

La biglietteria? I gettoni ci sono tutti, vero? Ieri sera ho dovuto recuperarli dalla motrice, lo sai che mi tocca fermare la giostra quasi un quarto d'ora per recuperare i gettoni dal bruco malefico e poi quelli mica hanno pazienza, sicuro che li hai preparati tutti?

Sì, ci sono più di duecento gettoni, la scatola è piena.

Allora controlla le insegne che tra poco qui ci sarà la fila.

Va bene, capo, preparo tutto, nessun problema.

È un modo come un altro per mettere qualche euro da parte durante le vacanze estive, mi aveva detto, si lavora soprattutto la notte, di giorno c'è poco traffico, parola di giostraio e io gli ho creduto. In effetti durante il giorno la gente preferisce scendere giù in spiaggia, qualche volta la macchina ha girato, aveva ragione lui, il giostraio, però mica mi ha raccontato tutto. Certo, la fregatura c'è sempre in un lavoretto estivo pagato in nero, ma adesso è troppo. Non ce la faccio più.

La cuccetta del tir è il mio letto dal mese di giugno, ho sempre sognato di entrare in quelle case viaggianti con pavimenti e pareti che spuntano miracolosamente dai rimorchi e verande montate dal nulla con lampioni perennemente accesi in quei villaggi a scomparsa alloggiati nelle aree comunali periferiche, circondate da canneti e sterpaglie dove normalmente regna il cemento più sporco. Sognavo, io ingenuo da quattro soldi. Mi ero immaginato una romantica avventura, ma per me soltanto una brandina nel camion, rigida e scomoda con la temperatura del mondo esterno elevata alla sua massima potenza. Se fa caldo quella arde, l'ho provato raramente finora, ma se scende il freddo, come in questa estate malata, allora brucia di gelo autentico. Dormire con il plaid a luglio non ci credevo, dormire, poi, se così si può dire, quando chiudo gli occhi nel tempo che intercorre tra quel timido chiarore lattiginoso prima ancora dello spuntar del sole e il momento in cui con qualunque temperatura dell'aria c'è sempre chi si prende la briga di gridare a tutti la propria presenza. Bar affollati, il lungomare preso d'assalto e al porto, dove il comune ha concesso il posteggio delle case viaggianti, si danno appuntamento i capitati al mare pur non amandolo che per ingannare la fame in attesa del pranzo ancora troppo lontano urlano e fanno vibrare le voci appresso a risate cariche d'isteria e incoscienza. Non più di quattro ore, il sonno di questa mia malaugurata estate. E pensare che la stanchezza è di quelle che anela il cuscino, fosse pure di pietra magari riuscissi comunque a dormire, ma come potrei cedere al sonno sapendo che loro sono dappertutto. Li ho visti infilarsi nelle auto della gente di passaggio, li ho scoperti mentre spiavano i baci sconclusionati degli adolescenti appartati dietro gli scogli, entrano nei bagni solo per sentire il suono dello scarico e si fanno delle gran risate alle spalle di chi cerca un luogo appartato per mettersi le dita nel naso o sistemarsi le mutande che stringono troppo. Se scorgo un bambino tutto solo nell'ombra non cerco il padre, no, piuttosto significa che lì vicino c'è qualche povero cristo che sta cercando un po' di privacy e quel bimbo altri non è che un fottuto guardone. Uno di loro, che non resiste alla tentazione di spiare la vita. Da quando lavoro al Martin Park ho imparato a distinguerli, ogni volta che trovo qualcuno fuori posto so che si tratta di un eterno guardone. Sono fatti così e non li sopporto. Che fai lì imbambolato? Niente, scusa capo, stavo pensando. Mica ti pago per pensare, hai visto? Si sta formando la fila e tu non hai ancora acceso le luci. Che aspetti?

Subito, capo.

Fatto.

Un fumetto mi esce dalla bocca, mi fa sempre questo effetto, la temperatura cala di colpo e il mio alito si fa subito testimone del sangue che mi scorre in corpo. I giostrai sono misteriosi, lo so, ma con il mio capo le domande si moltiplicano. Arriva sempre all'improvviso, ogni volta mi coglie in fallo e qualunque cazzata me la sgama al volo. Non riesco a fargliela, nemmeno quando non ho cattive intenzioni. Ma ora lo so, io sono l'ultimo qui a Martin Park.

Sono pronto, capo, soltanto una preghiera.

Che c'è?

Potresti pagarmi la settimana prima della chiusura, per favore?

Perché, che devi farci?

Verrà mio fratello che gli ho promesso di fagli un prestito.

Ma se stai mettendo da parte i soldi per studiare, che storia è questa?

Capo: è una questione delicata, non ti ho mai chiesto un anticipo, prima, no?

È proprio questo che m'insospettisce, non starai meditando di mollare? Me lo diresti, vero?

Certo, capo, di me ti puoi fidare, ti ho promesso che mi fermo tutta l'estate e così farò.

Lui mi fissa per qualche secondo, il mio respiro accresce la nebbia tra di noi, poi da dietro un bimbo lo tira per la giacca e lui si riprende immediatamente, sfoderando un grosso sorriso.

Posso salire sul Brucomela? Certo piccolino, aspetta solo un secondo.

Così mi salda la settimana, anche se poco convinto. Sono soldi veri, posso toccarli, puzzano al solito di uovo marcio come certe fonti termali ma si tratta di euro validi, buoni come tutti gli altri. Mi tappo il naso, li metto in tasca e prendo un gettone dalla scatola.

Bravo! Mi fa il capo. Pensa a lavorare: è per questo che ti pago.

Il bimbo sorridente afferra il gettone e si getta nel bruco meccanico. Dietro di lui una fila di piccoli mostri accompagnati dai nonni attendono il proprio turno.

Capo?

Che c'è ancora?

Ma come è successo?

Cosa?

Ma tu, ...come sei morto, tu?

Lui si gonfia in volto con una rabbia che lo immobilizza sul posto, una roba non degna dei giostrai, non di quelli ancora in vita.

Non dire cazzate! Fai il tuo dovere e smettila di farmi perdere tempo.

Tutta la fila si agita, io non lo so cosa prende a quella massa di anime però nemmeno mi curo di scoprirlo. Mollo tutta la baracca lì così come sta e comincio a correre senza mai voltarmi indietro. Se vogliono raggiungermi che lo facciano, penso, se non hanno niente di meglio da fare che inseguire un bigliettaio da giostra come me allora non faticheranno a disturbare il mio sonno e la mia intimità come hanno sempre fatto in questi mesi, però non mi fermo. Supero i tappeti elastici la pista degli autoscontro e continuo a correre. Oltrepasso il labirinto di specchi, la casa degli orrori e il tiro a segno, se raggiungo la pesca della fortuna sono salvo, poco dietro c'è il cancello d'ingresso e lo so, io, lo so che fuori dal Martin Park non potranno farmi più nulla. Almeno credo.

Corro, e intanto che il fiato mi appanna la vista mi viene da ridere perché in tasca ho il mio ultimo puzzolente stipendio.

Ma come avrà fatto quel fantasma a pagarmi tutte queste settimane?

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